Francesco Guccini

Radici

Revisión
Publicado el 18/08/2010
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Quando da adolescente ascoltavo i dischi di Guccini, respiravo un'aura di saggezza nelle parole scandite da questo cantautore modenese. Un distillato di vita, di emozioni, di valori, di parole pensate e non buttate lì per caso, come invece siamo costretti a sentire nella maggior parte delle canzoni. Parole che in qualche modo, insieme certamente a mille altre influenze, hanno guidato la mia adolescenza verso un certo percorso, facendomi seguire un certo tipo di idee e di ideali. No, il libero volere non esiste, tutto dipende da un enorme numero di cose accadute in precedenza e questa è stata una delle importanti influenze della mia vita.

Uno degli album più classici di Guccini, è proprio "Radici".
Iniziamo dalla copertina, dove sono raffigurati i nonni e i prozii di Guccini. Un disco fuori dal tempo, come lo è anche la foto nel retro, dove è presente Guccini con la prima moglie: non si potrebbe immaginare una foto più disinteressata dalle mode, ma al tempo stesso fiera per come è. Il risultato di scelte precise e non dettate dalla mancanza di possibilità.

Le radici, raffigurate nelle foto, sono il tema portante di questo quarto album. L'iniziale omonima canzone ne è il manifesto; si parla della casa di famiglia, dove Guccini ha vissuto la sua infanzia: "[...] La casa sul confine dei ricordi, la stessa sempre, come tu la sai e tu ricerchi là le tue radici se vuoi capire l'anima che hai. [...] Quanti tempi e quante vite sono scivolate via da te, come il fiume che ti passa attorno, tu che hai visto nascere e morire gli antenati miei, lentamente, giorno dopo giorno ed io, l'ultimo, ti chiedo se conosci in me qualche segno, qualche traccia di ogni vita o se solamente io ricerco in te risposta ad ogni cosa non capita [...]".

La casa è un legame che ci lega con il passato, un pretesto per ragionare sul passato e forse capire qualcosa di più sul presente.

"La locomotiva" è uno dei brani più famosi di Guccini, un inno generalmente suonato nei concerti come brano di chiusura. La vicenda romanzata nel brano è vera, ed è stata raccontata a Guccini da un vicino: il 20 luglio 1893, all'età di 28 anni, il fuochista bolognese Pietro Rigosi, in un momento in cui il macchinista era assente, sgancia la locomotiva del treno che dalla stazione di Poggio Renatico doveva dirigersi verso Bologna e parte a folle velocità, fino a che si schianta contro una vettura in sosta. Da questo frammento storico (a differenza della canzone il macchinista si salva riportando l'amputazione della gamba), Guccini crea un brano fortemente politico e colmo di ideali, che ha accompagnato più generazioni: nei concerti appena partivano i primi accordi seguiti dalla strofa iniziale "Non so che viso avesse, neppure come si chiamava", i pugni chiusi si levavano verso il cielo.
L'incedere incalzante, le strofe cantate con passione, l'hanno resa un classico della canzone italiana.

In "Piccola città", si descrive Modena attraverso i ricordi della prima gioventù, dei giochi, della scuola, dei miti americani, ma senza la nostalgia di non poter tornare indietro ("piango e non rimpiango" ci sottolinea verso la fine).

"Canzone dei dodici mesi" è quasi una filastrocca, che passa in rassegna ciascun mese raccontando alcune delle caratteristiche peculiari che li contraddistinguono, mischiate a pensieri e ricordi. L'incedere è semplice e lineare, il brano è lungo, ed è inframmezzato da un ritornello che sottolinea la ciclicità e il fluire del tempo, così come la difficoltà di fare le scelte: "O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare... ".

Chiude "Il vecchio e il bambino", un classico brano di Guccini, che però ha alcuni aspetti originali e atipici rispetto ai canoni del cantautore. Il tema infatti è fantascientifico, un evento strano rispetto ai suoi temi classici, sempre molto legati al quotidiano. Una fantascienza apocalittica, post disastro, dove un vecchio tiene per mano un bambino e una voce in terza persona descrive la scena.

Un disco che potrebbe risultare non facile, da digerire a poco a poco, ma importante.

Ascoltato per la prima volta da un disco imprestato dal fratello maggiore di un mio amico, registrato su cassetta, ricomprato su cd. In alcuni periodi capiterà di ascoltarlo spesso,  altri raramente, ma che conforto averlo assimilato e portarlo sempre con sè....

Piccola città (1972)
Francesco Guccini - Radici