Intervista a Diego Cuoghi

Pubblicato il 21/07/2017 - Ultimo aggiornamento: 22/07/2017

Argomento: Musica

Diego Cuoghi è il grafico che ha realizzato decine di copertine di album di artisti molto importanti: CCCP Fedeli alla Linea, C.S.I., Ustmamò, Disciplinatha, Max Gazzè, Rats, Estasia, Mimmo Locasciulli, Almamegretta e altri.

Come e quando è iniziata la tua collaborazione con il Consorzio Produttori Indipendenti?

E’ iniziata prima della fondazione del C.P.I.
Ho infatti conosciuto i CCCP Fedeli alla Linea nel 1987 tramite una amica, Rossella Solmi, che lavorava per Hiara Records / Cruisin Records di Modena ed era la loro tour-manager. Ma conoscevo già i loro dischi, e in questa zona (Sassuolo, Fiorano, Carpi) avevano fatto alcuni memorabili e concerti.
Il primo lavoro grafico realizzato per loro è stato il libro “CCCP Fedeli alla linea”, che raccoglieva foto, volantini, testi, proclami, grafiche varie… Doveva essere prodotto da Ennio Tricomi della Hiara/Cruisin’ e l’idea iniziale era di stamparlo in formato LP, ricordo di aver preparato una bozza cartacea fotocopiando il materiale originale e riscrivendo col computer (un Macintosh Plus) molti testi. Poi il progetto si arenò, anche per gli altissimi costi di stampa, e venne poi ripreso due anni dopo da Stampa Alternativa, che lo pubblicò in formato 45 giri.

Poi, sempre per i CCCP ho realizzato la copertina della raccolta ”Ecco i miei gioielli”. Nel fronte c’è una piccola foto (un “provino”) scattata da Luigi Ghirri, che era morto da poco. Ghirri aveva già realizzato per i CCCP la copertina di “Epica, Etica, Etnica, Pathos”, a mio parere la più bella copertina in assoluto di un disco italiano.

Infine l’album dal vivo “Live In Punkow”, nel quale ho utilizzato un font molto particolare, il “Cheap Signage T3” che produce caratteri sempre diversi e irregolari. Mi spiego meglio: ogni “a” è diversa da tutte le altre “a”, ogni “b” è diversa da tutte le altre “b”… Funzionava solo con i Mac OS7 e 8. Per poter comporre la recente ristampa in LP ho dovuto rimettere in funzione un vecchio Mac dell’epoca.

Ricordi qual'è stata la prima copertina che hai realizzato?

E’ quella di “Biancaneve e Gorbaciov” degli Incontrollabili Serpenti. La foto della cantante è di Denni Lugli, il logo del gruppo lo disegnai a mano e il titolo lo feci con i “trasferibili” (oggi probabilmente solo gli over-50 ricordano cosa fossero).
Successivamente, sempre per la stessa Hiara/Cruisin Records, realizzai altre copertine, ad esempio due dei Rats e diversi singoli 12” da discoteca.

In che modo procedevi alla creazione delle copertine dei CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti)? Sarebbe molto interessante sapere come sono nate!

Sono sempre partito ascoltando i nastri demo che mi forniva il gruppo mentre stava registrando i brani. Poi ovviamente ero in contatto con la “sezione emiliana” dei CSI, quindi Ferretti e Zamboni che avevano fondato “I Dischi del Mulo”. Erano loro che esaminavano le diverse proposte, sceglievano, consigliavano certe modifiche…
Però, a parte “Ko de mondo” in cui ho lavorato su una immagine già scelta da loro (un ingrandimento degli occhi di Giovanni), per tutti i dischi successivi sono sempre stato lasciato molto libero di immaginare la grafica di ogni copertina.

Per quella di “Linea Gotica” si poteva lavorare sul doppio significato (la linea del fronte durante la seconda guerra mondiale e le cattedrali gotiche). All’inizio però ero partito dall’idea di raffigurare il ponte di Mostar, da poco distrutto durante la guerra. Le prime bozze che realizzai avevano quel soggetto, trattato come fosse la vetrata di una chiesa. Poi vidi le foto della Biblioteca di Sarajevo incendiata, e collegai il tutto alla canzone “Cupe Vampe”. Da un libro sulle cattedrali gotiche ricavai la vetrata semicircolare e vi disegnai uno squarcio, come fosse stata colpita da un bombardamento. Al di là della vetrata, la biblioteca di Sarajevo con colori infuocati, e lo stesso fuoco continuava anche nel retro del CD, terminando su un labirinto, quello che si trova su una colonna del Duomo di San Martino a Lucca.

Con gli altri gruppi le cose funzionavano allo stesso modo? Ci racconti qualcosa?

Ho sempre lavorato bene quando ho potuto essere in contatto diretto con i musicisti. Al contrario quando le case discografiche mi hanno chiesto di proporre una copertina per qualcuno che per qualche motivo non avevo potuto conoscere di persona, è andato malissimo e non sono riuscito a produrre niente. Blocco creativo.

Invece con CSI, Ustmamò, Disciplinatha, AFA, Estasia… e poi Massimo Zamboni da solo, e anche gruppi al di fuori del Consorzio come C-O-D e Fiamma Fumana, ho potuto lavorare con gli artisti senza alcuna pressione o costrizione da parte delle case discografiche, che accettavano le nostre decisioni. Credo sia stata una condizione di lavoro privilegiata, abbastanza rara.

Una con le idee molto chiare su come presentare graficamente i dischi era Mara Redeghieri degli Ustmamò. Arrivava da me con bozze disegnate a matita, ritagli, foto… per Stardust addirittura realizzò col Pongo dei pupazzetti che poi io fotografai e inserii con dei fotomontaggi dentro una serie di palle di vetro con la “neve” per illustrare il libretto. (vedi l’articolo pubblicato da Applicando, che ti ho già inviato).
Molto spesso lavoravo fianco a fianco con Mara, davanti al computer, e lei seguiva parte della realizzazione, le prove, le varianti di colore… In diversi casi nei credits dei dischi degli Ustmamò si legge “idea di copertina: Mara Redeghieri”, ed era proprio così, Mara mi suggeriva i temi da sviluppare basati sulle sue idee e sui testi delle canzoni.

Tecnicamente che programmi utilizzavi per la loro realizzazione?

Per i primi lavori nessuna computergrafica. Solo metodi tradizionali, quindi disegni, collage, scansioni delle immagini realizzate in un laboratorio di fotolito, titoli scritti coi trasferibili… Addirittura per un LP dei Rats scrissi a mano tutti i testi delle canzoni. Fornivo poi tutti gli elementi grafici e le bozze a una ditta di fotocomposizione che impaginava il tutto e produceva gli impianti di stampa in quadricromia.
Con un Macintosh Plus (monitor 8” in bianco e nero) al massimo scrivevo i credits e componevo qualche semplicissimo logo.
Oggi sembra la preistoria della grafica, invece erano solo trent’anni fa.

Poi iniziai a usare un Macintosh II con un monitor a colori 640x480 (era considerato “high resolution”). I primi programmi grafici che usai erano FreeHand 3 e Photoshop 2. Ma per le scansioni mi servivo da altri studi perché non potevo permettermi un costosissimo scanner.

In seguito arrivarono altri Mac, sempre più potenti, ma i programmi per tantissimi anni rimasero FreeHand per l’impaginazione e Photoshop per le elaborazioni fotografiche.

Per “Tabula Rasa Elettrificata” invece ho usato “Painter", un programma che simula i classici pennelli. Usato con la tavoletta grafica dà risultati simili a veri dipinti.

In qualche copertina hai utilizzato foto scattate da te?

Se intendi foto dei musicisti o di qualche concerto, no. Solo oggetti, ad esempio nella copertina di “Live In Punkow” ho usato una mia foto dello “scudo” di Fatur (quello che sembra un ghigno da zucca di Halloween) scattata sul palco di un concerto, e l’ho inserita nel libretto e nell’etichetta del CD. Ho spesso fotografato degli oggetti anche per certe copertine degli Ustmamo: l’altarino e il cuore di plastica per “Cuore/Amore”, il muro di televisori per “Live & Plastic” (era una installazione di Nam June Paik). Ho fotografato anche l’argilla riarsa per gli antologici “Noi non ci saremo” dei CSI, e la testa scolpita per la copertina di “L’inerme è l’imbattibile” di Massimo Zamboni, lo sportello arrugginito per “Primigenia” dei Disciplinatha, il mappamondo nella Biblioteca di Fontainebleau per “Il futuro” di Mimmo Locasciulli

Realizzavi anche il libretto interno?

Sempre. Ho impaginato anche tutti i libretti con i testi e le immagini.

Hai in qualche modo vissuto da vicino la chiusura del progetto Consorzio Produttori Indipendenti?

Ovviamente non sono stato “coinvolto”, però ricordo le tensioni seguite al fortunato ma pesante tour di “Tabula Rasa”. Le diverse direzioni artistiche che i diversi componenti dei CSI intendevano dare al gruppo, poi la rottura definitiva seguita alla trasferta berlinese di Ferretti e Zamboni per la registrazione di quello che doveva essere un album firmato da entrambi e che invece divenne il primo “solo” di Ferretti.
Ma sono argomenti sui quali solo i diretti interessati potrebbero raccontare qualcosa, io ero un amico/collaboratore e ho vissuto la rottura col dispiacere di un appassionato fan.

Ho visto che la collaborazione con alcuni artisti è proseguita anche dopo la fine del Consorzio Produttori Indipendenti. Penso a Massimo Zamboni e Nada.

Sì, con Massimo la collaborazione è continuata per anni, e ho realizzato per lui diversi dischi solisti e quello in collaborazione con Nada. Il più complesso graficamente è stato il cofanetto CD+DVD+libro “L’inerme è l’imbattibile”.

Riguardo alla realizzazione della copertina del secondo album di Max Gazzè, la Favola di Adamo ed Eva, cosa ricordi?

Per la Virgin avevo già realizzato diversi album e singoli degli Ustmamò, e mi chiesero di occuparmi del secondo disco di questo nuovo cantante che stava emergendo con uno stile e una personalità molto decisi. Provai a utilizzare le foto che mi inviarono, immagini molto pop, con effetti di colore, ma quando poi incontrai Max Gazzè a Milano seppi che aveva già una sua idea, ovvero utilizzare una antica miniatura che raffigurava Adamo ed Eva, tratta dal commentario all’Apocalisse del “Beato di Liebana”, un manoscritto del decimo secolo.

 

Feci diverse elaborazioni grafiche per adattarla alla forma quadrata per la copertina e spostai le foto originali nel retro. Nel libretto invece, ad illustrare le canzoni, misi molti miei quadri realizzati con Painter e stampati su tela per una mostra intitolata “Altre immagini”. Mi ero accorto infatti che i soggetti dei miei lavori si adattavano bene ai testi.

Quali sono le copertine di cui sei più soddisfatto?

Quella alla quale sono più legato è “Tabula Rasa Elettrificata”. Ricordo il ritorno di Massimo e Giovanni dalla Mongolia, ci trovammo poco dopo a Milano per la presentazione del CD degli Estasia, e credo che proprio in quell’occasione mi diedero un nastro VHS con tutti i filmati girati durante il viaggio da Marco Preti (che poi vennero trasmessi in TV, divisi in diverse puntate di Geo & Geo). Dissero che avrei potuto trovare molti spunti per realizzare la copertina del loro prossimo disco, che sarebbe stato interamente ispirato a quel viaggio.
Chiesi ai due viaggiatori di indicarmi i colori che li avevano più colpiti durante l'esperienza in Mongolia. La risposta, all'unisono, fu: colori primari, verde, blu, rosso. Mi hanno detto che se un vestito era arancio era di un arancio abbagliante, se un prato era verde era di un verde che toglieva il respiro. Tornato a casa guardai più volte il bellissimo video, poi pensai di ricavarne delle immagini. Fotografare la TV era improponibile, i risultati erano davvero scarsi, allora collegai il videoregistratore al Mac (mi pare fosse un 8600 AV) e con un programma rudimentale di registrazione ottenni tanti screenshot. Ho ancora centinaia di quelle immagini raccolte in una cartella.

Nel frattempo i CSI si trovavano in “ritiro” a Carpineti, nell’appennino reggiano, in un agriturismo trasformato in sala di registrazione per l’occasione. Ricordo che mi diedero il primo “demo” delle registrazioni (curiosità: conteneva una versione di “Gobi” molto più lunga di quella poi pubblicata), e ascoltandolo sul lettore di cassette dell’auto mentre tornavo a casa pensai che fosse una cosa straordinaria. Nel suo significato letterale: fuori dall’ordinario musicale italiano.

Con quel nastro come sottofondo iniziai a lavorare con Photoshop, saturando molti colori, ritagliando parti di immagini del video per inserirle in altre, creando così accostamenti di soggetti che non esistevano nell’originale. Ad esempio il fronte della copertina è composto da elementi tratti da almeno quattro diverse scene. Alla fine, con Painter e la tavoletta grafica iniziai a ridisegnare ogni scena, ottenendo l’aspetto di dipinti veri e propri. Le diverse immagini usate per quella copertina, per il manifesto e per i singoli promozionali, divennero poi dei veri quadri stampati su tela in grandi dimensioni per una mostra tenuta al Castello di Arceto, vicino a Reggio Emilia.

La versione “vera” di “Tabula Rasa Elettrificata” per me è la prima in digipack, stampata benissimo, su cartoncino opaco e con libretto con copertina diversa (il cavallo che corre di fianco ai i pali della luce).
Quando venne ristampato nella normale versione “crystal” si perse molto. Anche gli stessi colori della copertina risultarono diversi, più scuri.

Non posso però dimenticare “The Different You”, l’album-tributo a Robert Wyatt. Seguo Robert Wyatt dal suo primo album solo “The End Of An Ear” del 1970 (che acquistai dopo aver letto il libro di Riccardo Bertoncelli “Pop Story” in cui più che una recensione c’è una vera e propria esaltazione di quell’album).
Da allora ho comprato tutto quello che ha pubblicato, album, singoli, collaborazioni, posso dire che Wyatt è una delle mie passioni “totali” (confesso però che l’elenco delle mie passioni totali sarebbe lunghissimo). Quando Gianni Maroccolo mi propose di curare la copertina di quel progetto, non gli lasciai neppure finire la frase, dissi di SI’ con entusiasmo.
Per la copertina realizzai una serie di semplici acquerelli, che in qualche modo potevano avere assonanza con certe altre cover dei dischi di Wyatt, disegnate dalla moglie Alfreda Benge.
Ricordo l’emozione quando, dopo avergli fatto avere le bozze, ricevetti un fax con i suoi complimenti e l’approvazione.
Ma l’emozione più grande fu quando lo incontrai a Torino, al Salone della Musica. Poco prima della presentazione ufficiale dell’album in una conferenza-stampa gli consegnai una copia del CD e rimasi con lui ad illustrargli il libretto.
Per me quello è stato uno dei momenti più importanti di tutto il mio lavoro di grafico.

La copertina con la storia più particolare è quella di “Un mondo nuovo” dei Disciplinatha”. Il gruppo mi aveva chiesto di utilizzare parte di una illustrazione tratta da un opuscolo dei Testimoni di Geova: una famiglia felice attorniata da animali in una specie di paradiso terrestre. Al posto di una cassetta di frutta portata dal padre avevo inserito una minacciosa sfera fantascientifica, quasi una astronave aliena.
Quando il disco comparve nei negozi, alla casa discografica arrivò una diffida da parte dei TdG, perché si trattava di materiale coperto da copyright. Dovemmo velocemente correre ai ripari, inventando una nuova copertina, in cui la sfera aliena era diventata enorme e aveva occupato tutto quel paradiso terrestre, cancellando la famiglia felice.

E copertine per le quali hai avuto particolari difficoltà a terminare il lavoro?

Come ho detto in una risposta precedente, sono state quelle commissionatemi dalle case discografiche senza che potessi comunicare con gli artisti. Ne ricordo una che avrei dovuto realizzare per Marina Rei. La Virgin mi inviò una scatola di foto e i titoli dei brani. Nient’altro. Neppure un demo per ascoltare le canzoni, nessuna indicazione da parte della cantante. Per due o tre settimane provai a comporre bozze usando quelle foto, quasi tutte in bianco e nero… niente. Nessuna idea, nessuna ispirazione.
Alla fine restituii la scatola con le foto e rinunciai al lavoro.

Quali sono, musicalmente parlando, gli album che ti piacciono di più tra quelli da te realizzati a livello di grafica?

Dei CSI sicuramente “Linea Gotica” e “Tabula Rasa”, degli Ustmamò “Ust”, che contiene quella che per me è una delle canzoni più belle, e lo dico in generale, non solo riferito alla loro produzione: “Canto del vuoto”. Degli AFA mi piace moltissimo il brano “Fossili”, ho sempre pensato che fosse una canzone bellissima e commovente, addirittura me la sono immaginata cantata da Mina.
Qualcuno ha dei contatti e vuole proporgliela? :-)

Oggi segui ancora la musica italiana? Quali sono i tuoi artisti preferiti?

Di musica italiana oggi ascolto pochissimo. Mi piace però molto l’ultimo dei Baustelle, che dopo alcuni album a mio parere incerti o addirittura noiosi (tipo “I mistici dell’occidente”) sono ritornati alla “canzone pop” con ottimi risultati.
Battiato l’ho amato moltissimo (ricordo il concerto-happening di “Pollution", con le maschere con la sua faccia distribuite al pubblico, e i lunghissimi tubi gonfiabili che si estendevano dal palco) ma ho smesso di seguirlo quando, dopo “La Cura”, ha iniziato a fare troppo il guru mistico.

Il mio musicista preferito da molti anni è Stephin Merritt, in tutti i suoi numerosi progetti: dai Magnetic Fields ai Gothic Archies, dai Future Bible Heroes agli album solisti. Un genio, confermato dall’ultimo box quintuplo dei Magnetic Fields che contiene 50 canzoni, ognuna a marcare un anno della sua vita. Ormai lo so a memoria.

Mi piace molto anche quell’esagerato di Rufus Wainwright, sempre al limite del kitsch, tra il pop più spudorato e gli album sofisticati e sinfonici come l’ultimo, ispirato ai sonetti di Shakespeare, pubblicato dalla Detutsche Grammophone. C’è un brano in particolare che ogni volta che lo ascolto mi toglie il respiro, cantato assieme a Helena Bonham Carter, è Unperfect Actor

.

Qui ancora Helena Bonham Carter in un precedente video di un brano di Rufus Wainwright:

Rufus Wainwright, Helena Bonham Carter - Out Of The Game from Emma Lamp on Vimeo.

Poi chi posso citare tra chi è in attività oggi? Arcade Fire, che seguo dal primissimo EP autoprodotto, LCD Soundsystem (ma non pubblicano quasi niente da molti anni), Marianne Faithfull (l’ultimo album è un capolavoro), St. Vincent.
Un’altra passione sfrenata è quella per Brian Eno. Lo seguo dagli esordi, e lo ricordo addirittura in concerto coi Roxy Music a Modena. Il suo ultimo lavoro che mi è piaciuto moltissimo è quello con Carl Hyde del 2014. Gli ultimi album solo però mi hanno deluso, ha ripreso in modo banale il tema ambient, senza aggiungere niente di nuovo.

Da grafico, ci sono delle copertine di album (anche stranieri) che ami particolarmente?

Cercherò di limitarmi, per non annoiare con una lista troppo lunga.

Della copertina di “Epica, etica, etnica, pathos” dei CCCP ho già detto che è per me la più bella copertina italiana di sempre.
La serie completa delle copertine degli Smiths, album e singoli, curate da Morrissey, le ho tutte in vinile.
“The Academy in Peril” di John Cale, copertina originale “bucata” con le diapositive, firmata da Andy Warhol. Di Warhol ovviamente anche la banana dei Velvet Underground (ma è un po’ ovvia, la si trova in tutte le classifiche disco-grafiche).
“Taking Tiger Mountain By Strategy” e “Another Green World” di Brian Eno”, entrambe di Peter Schmidt.
“Go2” degli XTC, un’opera spiritosamente concettuale e autoreferenziale.
“Closer” dei Joy Division, perché all’epoca fotografavo e stampavo in bianco e nero, e i cimiteri erano uno dei miei soggetti preferiti.
“Fear Of Music” dei Talking Heads, il loro album migliore con la bellissima copertina nera con la struttura in rilievo.
“Horses” di Patti Smith, con il ritratto scattato da Mapplethorpe. Quando uscì quell’album fu un vero shock emotivo, mi innamorai perdutamente e iniziai a tormentare tutti gli amici per contagiarli con la mia passione (ma è una mia costante, è successo anche con altre sbandate musicali estreme).
“Atom Earth Mother” dei Pink Floyd, eravamo tutti convinti che ci fosse un messaggio segreto nascosto in quelle chiazze, non poteva essere “solo una mucca”.

Guardando il tuo sito http://www.diegocuoghi.it si vede che sei un artista a tutto tondo, con lavori di grafica, fotografia, arte. C'è un filone che ti interessa più di altri?

Mi viene in mente Guccini: “io son sempre lo stesso, sempre diverso” :-)
Infatti non sono mai riuscito a fermarmi su un soggetto, una tecnica, ho sempre cambiato strada e temo che questo sia stato un po’ un limite, perché sono stato un po’ troppo dispersivo.
Ho iniziato al liceo artistico con pastelli e acquerelli, poi ho fatto tanta fotografia in bianco e nero, poi coloratissimi scatti multipli su diapo, poi è arrivato il computer e mi sono appassionato a quel mezzo. Negli ultimi anni sono tornato alle origini e ho ricominciato a disegnare a pastelli.
Se però c’è un tema più presente di altri, è quello del labirinto, del perdersi e del fuggire. In diversi miei lavori se non compare il labirinto (che è anche il mio logo) c’è comunque qualcosa che ha a che fare con quel tema mitologico che mi affascina, ad esempio Icaro.
Sul muro della casa di un amico ho invece dipinto il Minotauro che, dopo aver raccolto le ali di Icaro caduto, fugge dal labirinto volando.

Oggi le uniche copertine di dischi che faccio sono le… ristampe dei vecchi lavori.
Adesso sto ricomponendo “Maciste Contro Tutti” che verrà ristampato in Vinile e digipack.
Il mio lavoro abituale è da molti anni legato alle aziende della zona di Sassuolo, quindi ceramiche, o industrie meccaniche. Fotoinserimenti, computergrafica 3D… sono lavori che so fare ma difficilmente potrei dire che “mi piacciono”.

Un altro “lavoro” importantissimo per me sono stati invece gli studi storico artistici.

Che tipo di attrezzatura fotografica avevi allora?

Allora… intendi gli anni 80-90? Avevo una Canon AE1 Program, con tre obiettivi fissi: 28, 50 e 100. Con quelli facevo tutto, ma il preferito era il “normale” 50mm. Avevo la camera oscura, con un ingranditore Durst, e tutto l’occorrente per sviluppare i rullini in bianco e nero e stampare. Già prima dell’arrivo del digitale però avevo perso quella passione e mi dedicavo di più alla computergrafica. Da molti anni ho portato tutta la camera oscura in solaio. So benissimo che non farò mai più un rullino, quindi è inutile occupare spazio sperando che mi torni la passione analogica.

Ora che sistema fotografico utilizzi?

Ho due Canon EOS, una 50D e una 6D. Le uso principalmente per fotografare edifici o interni progettati da colleghi architetti, oppure mobili e oggetti per un negozio di arredamento. Uso pochi obiettivi: un grandangolo 10-22 per la 50D, un 24-70 per la 6D, un 50mm adatto a entrambe. Non uso mai teleobiettivi.
Scatto in RAW, “sviluppo” con Lightroom e infine elaboro la foto finale con il solito Photoshop.

Quanto ha cambiato il tuo modo di lavorare il passaggio dalla fotografia analogica con il rullino, a quella digitale?

Sarà banale e venale, ma la prima cosa alla quale penso sono i costi.
Lavorare con i rullini costava moltissimo. Stampare costava moltissimo, anche in termini di tempo, materiali chimici per lo sviluppo che dovevano essere “freschi” per dare buoni risultati, e tanta costosa carta buttata in prove, stampe malriuscite, nuove stampe.

I rullini contenevano al massimo 36 foto, quindi sicuramente le foto erano più “pensate”, più curate già dall’inizio perché non si potevano fare decine di scatti dello stesso soggetto per poi scegliere il migliore. Io poi non tagliavo niente, stampavo sempre tutto il fotogramma, lasciando il bordo nero, quindi l’inquadratura doveva essere già buona al momento dello scatto.

Oggi è tutto più facile. Di ogni soggetto, senza alcuna spesa supplementare, posso fare moltissimi scatti con esposizioni diverse che mi permetteranno poi di ottenere migliori bilanciamenti tonali tra chiari e scuri. E le macchine più recenti permettono anche di fare tagli di elementi inutili senza rinunciare ad una buona definizione. E Photoshop permette di eliminare elementi sbagliati o estranei, che con l’analogico era complicatissimo fotoritoccare.

Se devo tirare le somme… no, non rimpiango l’analogico, se non per quel senso di meraviglia e sorpresa che c’era sempre quando si sviluppavano i rullini (con l’ansia: sarà andato tutto bene?) e immergendo la carta esposta dentro le bacinelle con gli acidi, si vedeva comparire piano piano l’immagine.
Una piccola magia alchemica :-)

Diego Cuoghi e Robert Wyatt
Diego Cuoghi e Mara Redeghieri
Copertina di "Linea Gotica" del Consorzio Suonatori Indipendenti
Prima versione della copertina "Un mondo nuovo" dei Disciplinatha
Copertina di "La Favola di Adamo ed Eva" di Max Gazzè
Copertina dell'album "Stasi" degli Estasia