Live report Radiohead/James Blake - Monza 16.06.2017

Pubblicato il 19/06/2017


Pazienza e comprensione sono le parole distintive di questa giornata evento al Parco di Monza. Non sono i numeri a stupire (oltre sessantamila spettatori negli anni duemila è un bottino d'altri tempi), non è la bellezza della location (tra prati, natura sconfinata e organizzazione praticamente perfetta), ma lo spirito messo in campo dai due attori principali dello spettacolo: gli spettatori e gli artisti. Sì, perché fin dal primo minuto in cui si metteva piede nell'area concerti si respirava nell'aria una sorta di reciproco rispetto tra i diversi ruoli. Il pubblico era rilassato, composto; ma cosciente di ascoltare durante l'attesa dei loro beniamini, uno dei fenomeni più chiacchierati degli ultimi anni. James Blake. Lui con fare professionale ma mai distaccato, con maniere semplici ma mai di circostanza incanta con il passare del tempo i presenti attenti e meno attenti. Il risultato è perverso nella sua circolarità: ci si accorge che tutto sta per finire solo quando una cosa bella ci aveva fatto per un attimo pensare di essere altrove. E allora in questo la musica è davvero speciale. Blake con il suo dub-step elettronico ipnotizza prima, anestetizza poi e infine prende per mano le menti. Ma ancor più giù raggela i cuori degli ascoltatori e riporta i suoi interlocutori ad uno stadio primordiale grazie soprattutto alla sua tecnica, un'anima soul che si svela nel suo cantato. Alcune sembrano derive lunari, altre tuffi nelle profondità della psiche umana. Una cosa è certa: pazienza e comprensione hanno guidato l'artista londinese nella sua performance cercando sempre di catturare un pubblico altrui con garbo e intelligenza senza strafare, ma lasciando parlare il suo immenso talento che si muoveva tra le righe. Il suo terreno ideale non sono le folle oceaniche all'aperto, lui che quasi sempre seduto al piano dialoga più con gli strumenti e il sound che con l'aria e il sudore dei fans. Un fare discreto che ha concesso ai presenti un momento di classe e freschezza allo stesso tempo.

Inutile dire che la principale attrazione della serata fossero, a dire il vero, i Radiohead. E non bisogna girarci tanto intorno per confermare che loro non sono mai stati una band come le altre. Sempre un attimo prima o un attimo dopo, hanno costruito la loro fortuna e il loro proselitismo partendo dal loro essere antipersonaggio come lo furono all'epoca ad esempio i Pink Floyd. Mettere il loro lavoro e la loro arte al di sopra dei loro ego ha mostrato a tutto il mondo e al business che gira intorno alla musica come si possa ancora essere mainstream senza esserlo. Essere indie senza dover per forza di cose essere schiavi di tutti i cliché di quell'ambiente. Ovviamente motivi per cedere al richiamo di questa data ce n'erano parecchi, ma certo non si poteva far finta di non sapere che proprio quest'anno ricorressero i vent'anni dall'uscita di OK Computer per molti il disco miliare per antonomasia degli anni novanta. Thom Yorke e soci hanno mostrato pazienza e comprensione offrendo un' esibizione pressoché impeccabile, ma soprattutto infarcita di due elementi fondamentali: umiltà e generosità. I Radiohead sono stati troppo spesso schiavi della loro impulsività, del loro essere controcorrente, a volte un po' antipatici altre volte troppo nichilisti. Questa volta il suono era robusto, rotondo e la loro interpretazione è stata talmente sopraelevata da rendere la performance quasi surreale. L'acustica più che buona ha fatto la sua parte, ma fin dalle prime note si è visto come un inglese può benissimo salutare il pubblico italiano in italiano, può lasciarsi andare a qualche scambio di battute con le prime file senza perdere il filo del discorso. Può davvero ascoltare il polso del pubblico senza avere la pretesa di essere l'unico protagonista della serata. Il Deus ex machina della band si conferma per essere ultimo fra gli ultimi come un San Francesco moderno, spogliato anche nella sua estetica. Si presenta chitarra in mano con una semplice e anonima t-shirt senza stampe e dai colori sbiaditi: Il profeta dei disadattati di fine secolo, il grido dell'umanità perdente come ricorda anche questa sera la profetica Karma Police (eseguita nel secondo encore tra nodi in gola e persone abbracciate l'un l'altra nell'apoteosi della nostalgia). Non mi piace elencare le canzoni eseguite, che ritroverete nella setlist più sotto pubblicata, come un freddo reportage di cronaca. Mi piace piuttosto catturare le immagini e le emozioni che si respiravano nell'aria. Bella l'immagine durante Airbag di una ragazza con i capelli corti che inforcava una sigaretta tra le labbra sorridendo con lo sguardo come sospesa nell'aria e con gli occhi chiusi come fosse rapita da una mano invisibile, oppure un ragazzo che a fine concerto continuava a ripetere ossessivamente di aver avuto la fortuna di ascoltare Creep in versione live. Mai dimenticherò i brividi e la botta di emozione coincisa con le prime note di No Surprises che come una ninna nanna cullava l'onda di persone che mi stavano accanto o la danza tribale collettiva di National Anthem dove la ragazza davanti a me continuava a muoversi abbracciata alle amiche in una sua dimensione fiabesca e onirica. I Radiohead hanno un solo difetto: sono talmente sublimi che la gente non riesce quasi mai a tirare fuori il suo vero istinto crudo e ignorante. A volte se si ha il tempo e la coscienza per girarsi sembra di partecipare più ad una sacra celebrazione che a un concerto rock. Ogni partecipante e in mezzo a tanti suoi simili con il corpo, ma in realtà la mente vola altrove; spesso assai lontano nello spazio e nel tempo. Un' esperienza extrasensoriale addolcita dalla voce di Tom Yorke e affievolita dall'arte visionaria di una band rivoluzionaria in maniera discreta. Per concludere ditemi voi se non c'è stata pazienza da parte del pubblico nell'aspettare sino al secondo encore per ascoltare finalmente Creep dal vivo (dopo essere stata assente in molte performance più o meno recenti della band di Oxfordshire per parecchi anni). Ditemi voi se non c'è stata comprensione da parte di Thom Yorke per regalare il brano più gettonato dai fans e per questo più odiato dal suo autore.

 

Setlist

 

Daydreaming
Desert Island Disk
Ful stop
Airbag
15 step
Myxomatosis
National Anthem
All I Need
Pyramid Song
Everything in its right place
Reckoner
Bloom
Weird fishes/Arpeggi
Idioteque
The numbers
Exit music (for a film)
Paranoid Android
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Encore


No surprises
Nude
2+2=5
Bodysnatchers
Fake Plastic Trees
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Encore


Lotus Flower
Creep
Karma Police

Fotografia di Michele Porcile