Marco Sonaglia

Il Vizio di vivere

Recensione
Pubblicato il 02/02/2016
Voto: 8/10

Dopo l’album di esordio ‘Il pittore è l’unico che sceglie i suoi colori’ del 2013, il cantautore marchigiano Marco Sonaglia sforna la sua seconda fatica discografica intitolata ‘Il vizio di vivere’. Personalmente è un titolo che mi rievoca in maniera preponderante il libro scritto nel lontano 1984 da Rosanna Benzi, costretta a vivere in un polmone d’acciaio per 29 anni a causa di una grave forma di poliomielite.

Tuttavia il titolo fa riferimento, e la copertina dell’album lo spiega molto bene, alla vita che va vissuta nonostante tutto ed in maniera entusiastica,  in contrapposizione a ciò che questo secolo passato ci ha lasciato in eredità, ossia distruzione, guerre, razzismo, totalitarismo ed altro (non a caso è stato denominato da qualcuno ‘Il secolo degli ismi’).

La bella copertina (come era bella ed azzeccata quella dell’album di esordio), opera del 1978  dell’artista fabrianese Roberto Stelluti intitolata ‘Francesco sulle carcasse’, raffigura un bambino in equilibrio su delle carcasse di macchine, intento a guardare verso il basso, verso la distruzione; tuttavia si riesce a scorgere uno spiraglio di luce quasi a significare un anelito di libertà verso un mondo migliore, in cui magari le nuove generazioni daranno un contributo più che significativo.

Il disco è composto da sette canzoni più una bonus track per una durata complessiva di 35 minuti circa; registrato da Paolo Bragaglia e prodotto dall’Accademia Cantautori di Recanati sotto la Direzione artistica di Lucia Brandoni, ha la particolarità di essere un lavoro completamente acustico (eccezion fatta per la bonus track) e di essere elaborato dai giovani fabrianesi Giorgio Tintino e Francesco Urbinati per quanto riguarda i testi e da Marco Sonaglia per ciò che concerne le musiche.

Nel cd, oltre alla voce e alla chitarra di Marco Sonaglia, sono presenti le chitarre di Edoardo Marani ed il pianoforte e gli arrangiamenti del milanese Onofrio Laviola, già collaboratore di Massimo Priviero e dell’Accademia dei Cantautori di Recanati.

La scelta di fare un disco acustico è indubbiamente legata al fatto di dare giusto ed importante risalto ai testi delle canzoni, testi che affrontano in maniera semplice ed allo stesso tempo complessa le luci e soprattutto le ombre del secolo che ci siamo lasciati alle spalle, citando le idee ed i pensieri dei poeti-scrittori più significativi del ‘900.

Idealmente possiamo dire che il lavoro di Marco Sonaglia, insieme a Giorgio Tintino e Francesco Urbinati, parte da Cesare Pavese per arrivare a Franco Fortini  passando per Emilio Lussu.

L’intento ambizioso del lavoro è quello di cercare di confrontarsi con la letteratura e la storia per comprendere il ‘900 e nel fare ciò si cerca di trovare una commistione possibile tra musica popolare e poesia colta.

A parer di chi scrive l’intento sembra essere pienamente raggiunto e la scelta di fare un lavoro acustico si è rivelata vincente per comprendere meglio i testi, analizzare ed affrontare più a fondo i problemi secolari (guerre, razzismo, migrazioni, ecc.) cercando di non ripetere più gli errori del passato.  

Si parte con ‘La luna e i falò’, chiaro riferimento all’opera di Cesare Pavese del  1950, che affronta l’inquietudine del vivere; il brano si apre con un ticchettio che sembra regolare l’esistenza e poi parte inizialmente con il pianoforte di Laviola per proseguire e finire in crescendo con le chitarre acustiche a sostenere la voce decisa di Sonaglia.

Ne ‘Il grande inquisitore’ il tema affrontato riguarda l’ansia ed il timore verso il potere che può trasformarsi in bastone, in inquisitore mostrando il suo lato più cattivo; il brano si apre in maniera veloce con l’intreccio forte tra chitarre e pianoforte a dare risalto alla voce potente del cantante marchigiano.

Si passa poi a ‘Il buongustaio’, canzone scherzosa che spiega come sia diventato un obbligo stare dalla parte degli sfruttati e degli oppressi e di preferire la feccia dell’umanità alla crema della società; musicalmente parlando la fa da padrone il pianoforte sincopato e la allegra spensieratezza di Marco Sonaglia nel cantarla.

Si prosegue con ‘Emilio’, canzone dedicata ad Emilio Lussu e alla sua esperienza raccontata nel libro ‘La catena’ del 1930; la tessitura musicale è dominata dal pianoforte e dalla voce sofferta di Sonaglia e come costruzione potrebbe ricordare (almeno per chi scrive) la celebre ‘Eurialo e Niso’ dei Gang.

Parte prima lenta per poi vivacizzarsi nello svolgimento della storia grazie all’apporto fondamentale anche delle chitarre di Edoardo Marani e dello stesso Sonaglia.

Anche questo brano ci ricorda la vita ed il coraggio di gente disposta a tutto pur di sconfiggere lo squadrismo fascista ed in generale disposta a ribellarsi per un giusto ideale.

Si va avanti con ‘L’altro saluto’, canzone che ripercorre il dramma dei viaggi della speranza (e anche qui viene alla mente per lo stesso tema trattato la stupenda ‘Mare nostro’ dei Gang, presente nell’ultimo ‘Sangue e cenere’) analizzando il fenomeno manifestatosi nel secolo passato e che ancora oggi è presente in ogni parte del mondo.

Il brano, nonostante l’importanza dell’argomento, scorre via liscio come l’olio e la voce significativa di Sonaglia gli dona quell’aura di speranza necessaria per sconfiggere anche i pregiudizi tuttora esistenti.

‘Nella terra di nessuno’ affronta il tema della Grande Guerra che apre il secolo breve (come direbbe Eric J. Hobsbawm) e la parte musicale mette in risalto in particolar modo inizialmente la parte brutta della guerra e successivamente nello svilupparsi del brano la speranza di una vita dignitosa e senza guerre; la parte finale è un avvincente intreccio tra pianoforte e chitarre.

Con la struggente ‘Vice veris’ si arriva alla fine del lavoro e sembra quasi chiudersi il cerchio che partiva dall’inquietudine di vivere de ‘La luna e i falò’ per arrivare appunto a questa trasposizione in musica della poesia omonima di Franco Fortini.

L’album si chiude con un messaggio di speranza racchiuso a parer mio nella frase ‘Mai una primavera come questa è venuta al mondo’; tale impressione poi viene suffragata dalla decisione di scegliere ‘Le intermittenze del cuore’ (omaggio all’album omonimo di Claudio Lolli del 1997) come bonus track.

Essa infatti è una canzone completamente avulsa dall’intero album sia nel testo sia soprattutto nelle musiche, con atmosfere elettriche e decisamente anni ’80; essa sembra quasi a star significare che in fondo, nonostante tutte le storture ed i  problemi quotidiani e generali, il vizio di vivere e di sognare un modo migliore non ce lo leverà nessuno.

Marco Sonaglia - Il Vizio di vivere