Wild Beasts

Present Tense

Recensione
Pubblicato il 26/03/2014
Voto: 9/10

La saga di questi giovanotti provenienti da Kendal in Inghilterra si arricchisce di un nuovo pesante capitolo: Present tense è il quarto album, dopo i tre incoraggianti precedenti, in un crescendo di consensi e applausi da parte dell’opinione pubblica. Un passaggio delicato, discograficamente parlando, per il quale la band si presenta con un lavoro ancora una volta improntato sulla massima semplificazione e alleggerimento della struttura canzone. Meno chitarra, meno cambi di velocità, meno orpelli barocchi. Appare altresì subito evidente che questo disco è molto di più di quello che dichiara di essere dopo una prima semplice lettura. Una donna, una città, uno studente nerd che si nasconde dietro gli occhiali. Una sensazione di ammaliante attrazione personificata da una misteriosa figura che ci sprona a fermarci a parlare con lei, a restare in quel luogo, ad assecondare la nostra curiosità. Il fascino alla fine non è altro che il raggiungimento della consapevolezza che traspare nelle dichiarazioni pubbliche, nel modo di apparire, in tutti i gesti della vita quotidiana.

Ora dimenticate tutto questo; perché capita poche volte nella vita di prendere coscienza fino in fondo dei propri mezzi. E questa è la storia che vi voglio raccontare: Hayden e Tom sono due ragazzi che si muovono senza concedersi troppi svolazzamenti della mente, ma con la forza di chi, senza saperlo, comincia a riconoscere tutti i fattori esterni che li condizionano e gli stanno attorno. Questo disco diventa così il catalizzatore per specchiarsi e trascendere verso gli istinti più carnali ingiustamente dissimulati.

Prima scena: un uomo che corre a perdifiato ripercorre le tappe della sua vita incrociando con lo sguardo le facce che incontra per la strada. Seconda scena: da un’altra parte una persona staziona vicino ai suoi incubi e sogni più reconditi invocando l’aiuto dei ricordi infantili materni; ma anche lei corre. E’ questa la magia che si autoalimenta ascoltando, traccia dopo traccia, i percorsi disegnati dalle visioni private dei due deus ex machina. Le scelte stilistiche della band veicolano quasi sempre sensazioni di dejà vu, tra percorsi ombrosi di rara vacuità e slanci melodici più immediati di una disco sintetica da club fuori moda. Dotati di un acume compositivo strabordante, i giovani miscelano, di nota in nota, pezzi di storia musicale in un crescendo d’inavvertita sensualità suffragata da un’architettura del suono all’apice del minimalismo.

Questo lavoro dimostra anche come l’integrazione della voce baritona di Tom Fleming con quella diciamo più da tenore di Hayden Thorpe sia la perfetta elevazione di un’opera umana da semplice attività a qualcosa che si avvicina alla vera essenza dell’arte, quindi della bellezza. Un limbo tra l’esistenzialismo adulto e il sogno fanciullesco in una rappresentazione visiva che sa molto di art déco con i suoi accenti contaminati ma sempre raffinati, con i suoi contrasti nell’uso dei “materiali” più che dei concetti. In effetti, quello che colpisce non sono soltanto le trame musicali che si srotolano sinuosamente tra le pieghe della forma canzone, ma l’uso eclettico dei format e dei cliché anni ottanta in maniera accattivante. Come nelle migliori coppie del passato queste due figure ricordano l’ideale sincronismo e la perfetta complementarietà di voci e anime quali McCartney/ Lennon, Gahn/Gore, Orzabal/Smith, Marr/Morrisey. Un abbraccio tanto fatale quanto divino.

Difficile spuntare un pezzo sopra la media, perché tutto l’album mantiene inalterata la sua linea d’eccellenza per tutto il suo minutaggio. Mi viene da dire Daughters perché perfetta in tutte le sue peculiarità: ottimo testo, ottima interpretazione vocale, sublime accostamento tra parabole sonore post-moderne e piccoli camei di elettronica retrò, quella non figa e bramata dal mondo indie, ma quella posticcia e kitsch della musica ottanta più commerciale. Un’operazione certosina e manierista fatta appiccicando qua e là dei driver evocativi a un’impronta di genere ormai tipica nello stile Wild Beasts. Ci ritroviamo perciò nelle orecchie un suono del tutto nuovo ripercorrendo la scia eterea tracciata dai Talk Talk in un crescendo di suoni accennati, droni e rarefatti come dal fantastico Spirit of Eden in poi. Se poi siete genitori, non potrete non commuovervi di fronte al mix di musiche e parole di Pregnant pause. Una sofisticata magia vocale e sonora dagli aromi amari, dream-pop e dai refrain consolatori.

Ah dimenticavo: le scene descritte all’inizio, come in un film che apre con la fine per poi svilupparsi in un lunghissimo Flash-back, non sono altro che la trasposizione della bellissima e introduttiva Wanderlust. Un cortometraggio affannoso e onirico di una nostra dimensione spazio temporale parallela. Nota di merito aggiuntiva per non averci confezionato un doppio album tanto in voga negli ambienti più naif. Chi ha il tempo, nell’era del download selvaggio, di concedervi più di quaranta minuti del proprio tempo?

Wild Beasts - Present Tense

Wild Beasts

Present Tense

Cd, 2014
Genere: Electro-pop

Brani:

  • 1) Wanderlust
  • 2) Nature Boy
  • 3) Mecca
  • 4) Sweet Spot
  • 5) Daughters
  • 6) Pregnant Pause
  • 7) A Simple Beautiful Truth
  • 8) A Dog's Life
  • 9) Past Perfect
  • 10) New Life
  • 11) Palace

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