Vincenzo Costantino Cinaski: Intervista del 07/05/2013

Pubblicato il: 11/05/2013


Nell’ottobre del 2012 è uscito il primo disco del poeta Vincenzo Costantino “Cinaski”, s’intitola “SMOKE parole senza filtro” ed è decisamente una piacevole anomalia nel panorama musicale italiano, visto che si tratta di un disco di poesie musicate o di canzoni recitate, autoprodotto con la complicità di Gibilterra e la produzione artistica di Francesco Arcuri. Incuriosito, ho ascoltato una prima volta il disco, l’ho lasciato sedimentare un po’, l’ho poi ripreso in mano più volte, affascinato, quasi ammaliato e, alla fine, ho voluto approfondire la questione con l’autore.

Io trovo assurdo il catalogare i dischi per generi, il cercare di attribuire un’etichetta ad un’opera, ma se proprio dovessi farlo, come definiresti questo tuo progetto “SMOKE parole senza filtro”?

Un disco pieno di affetti speciali, dove copulano poesia e musica senza supponenza con genuina emozione. Un genere raro.

Voglio essere un po’ provocatorio, la prima poesia “Il terzo uomo” si chiude così “Tira fuori un taccuino / riprende a passeggiare / come se non avesse un cazzo da fare / e scrive / questa poesia”, allora aveva ragione il cantautore siracusano Carlo Muratori che una sera, durante la pausa di un suo concerto, mi disse che, per scrivere canzoni poetiche, aveva bisogno di oziare.

Hai ascoltato o letto male, la poesia dice come se non avesse un cazzo da fare, quello che secondo un luogo comune sembra “non fare un cazzo” è invece un momento di ricerca e di osservazione, l’osservazione della vita non è ozio e richiede tempo da dedicarle e non da perdere. Non ci si maschera dietro l’ozio, chi lo pratica per scelta lo sa e non cerca alibi.

Così facendo, sono già entrato a gamba tesa nel vivo del progetto, vorrei però fare un passo indietro, per complimentarmi con te per l’incredibile squadra di musicisti di cui ti sei circondato nel vestire di musica le tue poesie, si va da Francesco Arcuri a Simone Cristicchi, passando per Raffaele Kohler, Stefano “Edda” Ranpoldi, Alessandro Stefana, Michele di Toro fino a Vinicio Capossela e Folco Orselli. Che ruolo ha secondo te la musica in questo progetto?

E’ il vestito ideale, la complice perfetta, partner sensuale. Musica e poesia sono figlie della stessa madre, l’emozione per la vita.

Il disco è ricchissimo di versi da annotarsi, proverò a citarne qualcuno a me più caro, come ad esempio i conclusivi “E per un attimo / Solo per un attimo / Vorrei tornare indietro” di “Be bop”, sbaglio se dico che in essi è racchiusa la nostalgia di tutto ciò che ormai è inevitabilmente passato, irrecuperabile?

La nostalgia cede il passo al rimpianto e diventa nobile quando guardando indietro trovi momenti che hai vissuto e quindi grazie al ricordo riesci a recuperare ma non a rivivere e ti illuminano il presente, cosa che il rimpianto non fa poiché guarda a momenti non vissuti. Molto più dolce il pianto del rimpianto e la nostalgia è una forma di pianto.

“Andare a dormire / mentre la città si sveglia. / Le valige sono piene di sogni / i treni pieni di rassegnazione” così scrivi in “E’ bellissimo”. Vivere la vita al contrario di come la vivono gli altri può essere una soluzione?

Non è vivere al contrario del vivere comune che diventa soluzione ma vivere secondo coscienza e cognizione di causa è la soluzione alla propria realizzazione, non ci sono regole, scegli di vivere come vuoi pagandone il prezzo e sarai vivo, per amare la vita bisogna tradire le aspettative.

Da trascrivere integralmente sarebbe “Il bar” perché in essa trovo sia colta in pieno l’essenza del vivere, mi limito a riportare questi versi “La vita va corretta, va corretta / E’ così difficile berla liscia”, vuoi dirmi qualcosa su questo testo?

Molti, travisando, pensano che sia un inno alla bevuta. In realtà è la poesia più triste che abbia mai scritto è la celebrazione della sconfitta, del vivere senza pose esistenziali, il Bar come momento sociale e non come circo. Si guarda sempre quello che c’è dentro al bicchiere e mai quello che c’è dietro.

In “Il re del bar”, invece, canti per davvero e ti giuro che è un piacere sentirti cantare, il pezzo sembra quasi il seguito musicale e più ampio della precedente poesia, adorabile quel “guarda che luna, guarda che mare / guarda me”, sicuramente un triangolo amoroso ma anche un chiaro riferimento a Buscaglione?

E’ esattamente il seguito della poesia che irride alla posa della finta ebbrezza, all’ebbrezza competitiva alla gara a chi è più coglione a quelli che sanno tutto sulla vita e la morte di Buscaglione ma non sanno perché recitava quella parte, è come se quei versi li cantasse lui. E’ lui il re del Bar, suo malgrado.

Meravigliosa “In anticipo” con quei suoni di città che fanno da sottofondo e quei magnifici versi “Arriverai in ritardo / Ma il ritardo sarà sempre un anticipo / di libertà”, pensiero profondo e geniale al tempo stesso, soprattutto in un mondo che sembra correre senza una meta precisa.

Il tempo di fare le cose, di vivere secondo i propri ritmi non perdendo neanche un momento del percorso è la cosa più preziosa che si possa avere e bisogna coltivarla lentamente.

Anche “L’eroe” è un crogiuolo di amare verità, come l’ultima serie di versi “vorrei fare un atto di coraggio / ma … sono ancora vivo”, a volte è davvero più difficile scegliere di continuare a vivere nonostante tutte le avversità che gettare la spugna. C’è un qualcosa di autobiografico in questa poesia, a parte “e forse farò l’amore cinque volte al giorno / e finalmente in due”?

C’è molto di autobiografico in tutto quello che scrivo, non so inventare la vita, e l’eroismo post mortem è la sconfitta maggiore. L’eroismo della sopravvivenza è senza gloria ed è delega di un assenza totale di tutela. Io vedo eroi ogni giorno e mi rattristo quando vedo celebrare l’assenza di uno stato vile in cerca di eroi.

Io adoro i finali, sia delle canzoni sia delle poesie, forse perché proprio lì vado a cercarne la chiave di lettura e in “Le cento città” penso di non sbagliare a fare così, visti i versi “Solo chi ha paura della libertà ha il coraggio di inseguirla”, allora vuol dire che gli intrepidi eroi non hanno capito un cazzo del coraggio?

Il coraggio senza la paura non esiste, è incoscienza e per raggiungere la libertà ci vuole molta ma molta coscienza.

Il senso intero di questo progetto mi sembra di coglierlo proprio in “Niente è grande come le piccole cose”, in quel “Basterebbe guardarsi dentro / e intristirsi per il continuo bisogno di eroi”, nella ricerca di una via di fuga da una vita normata e regolata “E’ lecito domandarsi se ci sia vita su Marte”. Sono andato fuori strada?

Non di molto, in sostanza con questo disco ho voluto cantare e dare voce all’epica della quotidianità con tutta la sua gloria nella normalità, ho cantato le piccole cose i momenti insignificanti, senza le quali si perderebbe il senso della misura. E’ finita l’epoca degli eccessi e degli spacconi. I veri clown hanno delle opinioni e si sono sempre disegnati una lacrima sul viso, nascondendo la vera.

“Epitaffio” è un carniere pieno di chicche, di intuizioni e di perdizioni, non ne riporto alcun verso perché non voglio bruciare la curiosità del lettore/ascoltatore, ti chiedo solo com’è nata.

E’ nata specchiandomi nel finestrino di un treno mentre vedevo la mia faccia che scorreva dietro paesaggi di periferia, ferro poi alberi poi stazioni…ci siamo fatti domande io e la mia faccia ed è nata questa poesia.

Salto volutamente “Terra” non perché non mi piaccia ma perché qui il finale a sorpresa è fondamentale e parlandone ne rovinerei la sorpresa, ti chiedo solo se nasce da un episodio di vita vissuta.

Vera al 99%, la percentuale di invenzione è riservata alle marche di liquori.

In “Il poeta” torni al canto, per un tenerissimo omaggio a Bruno Lauzi, perché hai voluto omaggiare proprio questo cantautore e perché proprio attraverso questa magnifica e toccante canzone?

Ci sono canzoni e uomini che ti lasciano il segno, Lauzi è uno di questi ma non è il solo, e spesso vengono dimenticati o ricordati poco. Ho scelto questa canzone perché ho conosciuto veramente un vecchio poeta che ha fatto la stessa fine ma per motivi diversi, non è stato ucciso dall’ amore ma dalla vita e dall’indifferenza e ho voluto cantarlo.

“Polvere di stelle” è una breve poesia dal quale trapela il tuo amore per la notte “Mi manca la notte come io manco a lei”, da cosa nasce questa predilezione per le ore notturne? E solo questione di polvere di stelle o c’è altro?

Non è una scelta di sponda, ma una predilezione per l’intimità e della mancanza di inerzia, amavo la notte e la consideravo la parte migliore del giorno ma da quando è stata invasa dal dilettantismo impolverato adesso il giorno è diventato la parte migliore della notte. Quando toglieranno anche il giorno saremo morti senza accorgercene.

Il disco si chiude con “Le case” e si chiude con versi in bilico tra speranza e disperazione “un giorno anche la malinconia troverà pace / noi saremo tristi”, non ci sarà mai pace allora per i nostri cuori?

La pace è malinconia, almeno per me, e la malinconia è il preludio alla felicità ma non deve essere perenne. Quando non saremo più in grado di provare malinconia, di commuoverci senza sapere il motivo e non per immagini codificate allora non ci resterà che la tristezza. Il cuore se non strizza l’occhio all’anima, questa sconosciuta emerita, da solo vive per inerzia aspettando lo stop.

Voglio chiudere con una mia personale curiosità, legata al fatto di non aver ancora assistito alla messa in scena di questo progetto. Come viene realizzato lo spettacolo? Hai già in calendario date?

Ti / Vi invito a venire a vederlo. Una cosa sola vi posso anticipare, non ci saranno effetti speciali ma affetti quelli si, io ci metto l’anima voi il cuore e ci strizzeremo l’occhio.

Grazie.

Vincenzo Costantino Cinaski