Cadabra: Interview 12/09/2009

Posted on: 13/09/2009


Per l'uscita del loro primo cd, abbiamo fatto un po' di domande al batterista dei Cadabra, Francesco Radicci.

Cosa vuole esprimere il titolo del disco, "Wave/Action"?

Cercavamo un titolo ‘contenitore’ e riteniamo di averlo trovato in “Wave/Action”, a nostro avviso d’impatto e facile da ricordare. Poi ci piaceva l’abbinamento sonoro delle due parole: ‘wave’, che richiama il nostro genere musicale ed è il filo conduttore delle foto di copertina, e ‘action’, che sta per azione-movimento-impulso. Il risultato è quasi uno scontro semantico di contenuti che, al tempo stesso, sbattono e si mischiano tra loro.

La new wave è un genere nato negli anni '80. Che significato ha per voi suonarlo nel 2009?

Penso che la new wave sia un genere mai passato di moda. O meglio, non è mai stato così tanto in voga da poter passare di moda. È la musica che abbiamo ascoltato da ragazzi e che ci ha segnato più di ogni altra. La suoniamo quasi d’istinto ed è innegabile che sia il nostro punto di partenza. Ad ogni modo, abbiamo sempre cercato di metterci dentro qualcosa di nostro per creare un sound che, pur partendo da certe sonorità, fosse essenzialmente nostro e riconoscibile, ossia risultare sui generis all’interno di un genere. Riproporre la new wave pedissequamente senza aggiungere qualcosa di nuovo non ha senso oggi come pure vent’anni fa.

Quali gruppi vi hanno più influenzato?

I soliti nomi: Joy Division, Mission, Bauhaus, primi Cult, Cure, la scena fiorentina degli anni d’oro, Depeche Mode, New Order. Questo il background comune. Poi, nel corso degli anni, ognuno di noi ha sviluppato anche altri ascolti che, inevitabilmente, finiscono per influenzare l’attuale modo di suonare e comporre. Io oggi ascolto principalmente Depeche Mode, Massive Attack, Mesh, più molta musica italiana di ‘derivazione anni Ottanta’ (Diaframma, Canali), Vincenzo anche molta roba anni Novanta e Duemila (Pearl Jam, Queens of the Stone Age, Interpol, Editors, White Lies) mentre, dei tre, Sebiano è quello musicalmente più aperto e onnivoro riuscendo a passare dai Killing Joke ai 24 Grana e dai Nine Inch Nails alla musica classica.

A cosa si deve il cambiamento tra i precedenti demo e il vostro primo lavoro ufficiale? Avete abbandonato l’elettronica in favore di sonorità più scarne ed asciutte. Un fatto un po’ in controtendenza…

Innanzitutto noi per demo intendiamo preistoriche e dimenticate registrazioni di fine anni Novanta. Al contrario, pur essendo autoproduzioni, consideriamo “Sound Moquette” (2001), “Blood and Blades” (2003) e “Love Boulevard” (2006) cd-album a tutti gli effetti: sono lavori che, negli ambienti underground, hanno circolato parecchio, sono stati molto ben accolti da pubblico e critica e contengono brani (Blooms, Sleeping, Morning Star, Love Boulevard) a cui siamo molto legati e che proponiamo regolarmente dal vivo. Detto ciò, oggi grazie a “Fonoarte” abbiamo una struttura professionale alle spalle che ci permette un salto di qualità, maggiore visibilità oltre ad una notevole spinta promozionale che è mancata ai precedenti lavori.
Quanto al sound, ogni album è figlio di un diverso momento e lo rappresenta in pieno. Ai tempi di “Sound Moquette” (il disco in cui la componente elettronica è più presente) i pezzi nascevano in studio per poi essere riproposti dal vivo. In seguito è avvenuto quasi il contrario: in “Blood and Blades” e “Love Boulevard” le programmazioni elettroniche sono state ridotte, fino a sparire in “Wave/Action”. Gli ultimi brani sono stati composti immaginandoli già in una dimensione live, tendenzialmente più rock. Ma in futuro non escludiamo la possibilità di inserire nuovamente qualche synth. Vedremo…

Il vostro genere è molto "puro". Non vi è mai venuta voglia di sperimentare l'inserimento di nuove sonorità?

In realtà non ci dispiace l’idea di avere un sound immediatamente riconoscibile e riconducibile subito a noi. Nonostante ciò, penso che da “Sound Moquette” a “Wave/Action” i cambiamenti siano abbastanza marcati (a cominciare dalla presenza delle tastiere, poi eliminate), frutto di una evoluzione al tempo stesso fisiologica e meditata. Nel mini-cd “Love Boulevard” abbiamo osato addirittura un remix dance della title-track (opera del dj milanese Redneoncity) e anche nell’ultimo lavoro, oltre a tracce in linea col passato (Watching me change, All your bodies, Sister) ce ne sono alcune con un mood per noi inconsueto (penso a Christabel). Quando possibile, cerchiamo di introdurre qualche novità. Forse, da ‘puristi’ quali siamo, lo facciamo col contagocce.

Di cosa parlano i vostri testi?

Premessa: io ho scritto i testi di “Sound Moquette” e “Blood and Blades” mentre da “Love Boulevard” se ne occupa Sebiano. Per entrambi sono racconti di vita vissuta, più o meno intimistici. Forse i miei sono più ermetici (procedo per immagini, flash visivi), i suoi più espliciti. Parlando dell’ultimo disco, il tema di fondo ruota intorno a rapporti-sentimenti-sesso-amore-carne, toccando diverse sfaccettature a seconda dei brani.

Non avete mai provato ad introdurre testi in italiano? A cosa si deve questa scelta?

La decisione di scrivere testi in inglese non è stata presa a tavolino. Anzi, quando abbiamo cominciato non ci siamo neppure soffermati più di tanto sulla scelta della lingua. Ritenevamo l’inglese più adatto a sposarsi con certe sonorità, forse a torto ma in maniera assolutamente spontanea e immediata. Oggi, con ogni probabilità, avremmo scelto diversamente ma, appunto, solo se potessimo tornare indietro. Dopo quattro lavori, tanti sforzi per far conoscere i nostri pezzi ed un (seppur modesto) seguito di pubblico, dovremmo rivedere l’intero repertorio ricominciando quasi da zero. Per cui…

Dal vivo c'è stato qualche concerto che ricordate con maggior piacere?

Fortunatamente sì, e non sono pochi. Il primo che mi viene in mente è proprio un concerto al Festival delle Periferie di Genova, nel 2004 (e non lo dico perché rispondo ad una testata genovese!!!). Con altrettanto piacere ricordo la prima volta che abbiamo suonato insieme ai Diaframma, a Grottaglie (TA), nel 2003. Altre belle serate sono state quelle di Isernia, Latina, Macerata (al National Music Convention), Reggio Calabria, Eboli, Campobasso, Bari (nel 2007, una jam-session con Andy dei Bluvertigo), ma ce ne sono davvero tante altre che meriterebbero una citazione solo per ospitalità, accoglienza e calore del pubblico.

Avete idea, a livello di età, quale pubblico è maggiormente ricettivo alla vostra proposta?

A giudicare dalla gente che ci scrive o che incontriamo ai nostri concerti, direi… dai 18 ai 40 anni. In effetti, suonando una musica di settore, sarebbe più facile immaginare un pubblico ‘adulto’ (diciamo dalla trentina in su) e cresciuto con certe sonorità, eppure ritengo sia una questione di gusti più che di età. Me ne rendo conto anche assistendo a concerti di gruppi più importanti, dai Depeche Mode ai Diaframma, trovandomi fianco a fianco con 50enni e 17enni. Differente il discorso vendite: i più giovani non comprano dischi.

Suonate da più di 10 anni. C'è ancora la stessa passione che avevate all'inizio?

In dieci anni cambiano molte cose, né noi siamo gli stessi di dieci anni fa. In dieci anni cambiano contesti, situazioni, scenari, prospettive, aspettative. E cambia anche il concetto di passione. Prima per noi la musica era totalizzante: centinaia di concerti e ritmi serrati. In pratica facevamo solo quello. Oggi selezioniamo gli impegni preferendo alla quantità la qualità. Se per passione si intende il desiderio di fare dischi e salire su un palco, allora sì, c’è ancora e “Wave/Action” ne è la prova.

Quale può essere il futuro del cd e, più in generale, della distribuzione della musica?

Io sono ancora legato al supporto musicale e, a suo tempo, già feci fatica ad abituarmi al passaggio dal vinile al cd. Di un artista che mi piace mi compro il disco, sfoglio la copertina, me lo giro e rigiro fra le mani, lo sistemo accanto agli altri. Viceversa, l’mp3 non mi dice niente. Come un libro in formato word: non lo si può aprire, toccare, odorare. Fosse per me, a costo di risultare antiquato, tornerei indietro di vent’anni buoni rinunciando anche ai vantaggi del progresso. Non mi fanno simpatia i megastore, figuriamoci iTunes. Eppure sono ‘costretto’ a ricordare ai lettori di Estatica che il nostro cd è in vendita anche tramite quei canali… Quale futuro? Francamente non so. Temo, però, che si andrà dritti dritti verso qualcosa che mi piacerà ancor meno del presente.

La letteratura vi ha in qualche modo influenzato?

Ti rispondo per quel che mi riguarda: in maniera diretta no, nel senso che non mi sono mai ispirato a fonti letterarie per scrivere un testo. Indirettamente è invece probabile che sia stato influenzato da letture e stili di scrittura assimilati qua e là nel corso degli anni. Presumo sia lo stesso anche per Sebiano.

Qual è il peggiore libro che hai letto?

Leggo quasi esclusivamente saggi, biografie e libri di storia e costume della società. Compro quando sono sicuro che l’argomento mi interessi, magari dopo qualche ricerca, e raramente me ne pento.
Piuttosto (a proposito di libri pessimi…), alcuni anni fa avevo pensato di scrivere una biografia dei Cadabra, ma nessuno se la comprerebbe (tantomeno troverei qualcuno disposto a pubblicarla) e ho accantonato l’idea.

Quali altri gruppi musicali italiani consigliereste in questo momento?

Di profondamente underground non me ne viene in mente nessuno, ma sono sicuro ce ne siano tantissimi. Salendo di livello, ricordo che Sebiano, in tempi assolutamente non sospetti, vide a Roma un concerto de Le Luci della Centrale Elettrica e me ne parlò molto bene. A me sono piaciuti molto gli Offlaga Disco Pax del primo disco e, più recentemente, Lisa Kant (ascoltata sulla cd-compilation curata da Danze Moderne) e come i salentini Superpartner hanno riarrangiato L’odore delle Rose nel tribute-cd Il Dono.
Visto che siamo all’ultima domanda, colgo l’occasione per ringraziarti per quest’intervista e invitare quanti volessero a mettersi in contatto con noi attraverso i nostri tre siti ufficiali:
www.cadabra.org
www.myspace.com/cadabraband
www.facebook.com/pages/Cadabra/54301377279

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