Måneskin

Rush!

Critique
Posté le 14/02/2023 - Dernière mise à jour: 16/02/2023
Vote: 7/10

E’ uscito il nuovo disco dei Maneskin post sbornia successo planetario ed è innegabile che tutti attendessero la prova del nove con un misto di scetticismo e ansia di dire per primi la loro. Ho aspettato di ascoltare con cura i brani dell’album prima di sputare sentenze, avendo sempre pensato che l’ansia da prestazione è cattiva consigliera. Inutile ricordare che i singoli che hanno anticipato l’album hanno da una parte preparato il terreno per giudizi al vetriolo, ma dall’altra hanno ampliato lo spettro delle emozioni suggellate da sfumature che definirei dark ballad dai toni eterei.

Prima osservazione lampante è la lunghezza di un disco composto da ben diciassette tracce che già a livello di impatto espressivo nè fa un unicum nel panorama musicale del nuovo millennio. Album così dilatati me li ricordavo solo negli anni novanta  e a differenza dei decenni precedenti spesso non si trattava di concept album stile The Wall, ma semplicemente di un tappeto sonoro oversize con un file rouge, secondo l’intento un po’ retorico ma nobile di offrire un lavoro economico e  onesto in tempi di crisi . (Stesso prezzo, ma con più canzoni al loro interno). Un esempio fra tutti “Mellon Collie and the infinite sadness “ degli Smashing Pumpkins un vero capolavoro,  dove gli stili si sovrapponevano , si aggrovigliano e lasciavano  infine il sapore di un qualcosa di indefinito ma estremamente variopinto e sapientemente equilibrato.

E’ evidente che con l’uscita di “Rush” il mondo della critica  ha trovato la sua saldatura tra due opposte esigenze che hanno monopolizzato i media  mainstream e non:

da una parte la stampa italiana che soffre ancora oggi di un rigurgito neo radical chic, dovendo sforzarsi di trovare il difetto in tutto quello che è italico per una sorta di eterna e manifesta subalternità rispetto alla stampa e alla cultura diciamo “anglosassone”. Spesso scambiata per integrità morale portata avanti da quella posa “alternativa” invecchiata con gli anni, molti critici pensano che dare giudizi sferzanti sia sinonimo di competenza. Una certa stampa aggressiva e corrosiva ha cercato di replicare all’infinito la griglia di valutazione degli anni novanta con una coerenza al limite dell’incoerenza,  ma sempre integerrima nel portare avanti una lotta un po’ naif e del tutto estetica. Dall’altra una stampa estera spacciata per internazionale come marchio autoreferenziale di imparzialità e solennità, ma in realtà figlia del pensiero unico e a volte manipolatorio. 

Ovviamente anche se parliamo solo di canzonette (parafrasando il grande Edoardo Bennato) siamo di fronte a una guerra commerciale  che anche nei numeri mostra come il made in Italy in campo musicale  sia cresciuto negli ultimi anni di un'abbondante 8%, ovviamente a scapito dei “mostri sacri” americani e inglesi. Morale: il tiro incrociato c'era da aspettarselo da parte di una Kultura che ha fatto della supremazia antropologica  il suo marchio di fabbrica in tutti i campi dell’arte e della società in pieno stile  imperialista. Recuperare il terreno perduto è la missione negli ultimi anni di una stampa che vuole disconoscere l’entrata di nuovi concorrenti. L’arte non c’entra più niente. E’ come quando uno va alla toilette e sente solo l’odore sgradevole degli escrementi altrui , ma non dei propri.

Tutto questo per dire che questo disco ha solo il peccato di essere stato fatto da ragazzi giovani di ventidue/ventiquattro anni e per di più italiani che cantano in inglese solo per ragioni commerciali, ma senza peraltro evidenti sbavature. Non siamo di fronte a un capolavoro e lo voglio subito affermare , ma sicuramente certe critiche volte a stroncare con dei giudizi imbarazzanti questo lavoro non possono essere prese seriamente se non all’interno di un contesto appena descritto.

Il vero problema è che spesso non ci rendiamo conto che non capire i tempi che cambiano è  un segno di rigidità imperdonabile per chi si arroga il diritto di giudicare il lavoro degli altri. Ascoltatevi “Mark Chapman” oppure “Kool Kids” oppure “Baby said” e ditemi se almeno ascoltando questo brani non avete avuto un brivido di freschezza e profondità allo stesso tempo. Vi ricordo che sono canzoni scritte e suonate da ragazzi post scuola dell’obbligo. Disquisire se sono veri nel dire certe cose o se sono originali nel loro sound è un esercizio di retorica davvero effimero. Cosa vuol dire oggi essere veri? Chi non ha avuto dei cattivi maestri nella vita come nella musica e nell'arte in generale? Carmelo Bene diceva che l’arte non ha autore, nessuno è autore di opera alcuna. Bisogna solo chiedersi se vendere musica italiana nel mondo sia un fastidio per certe lobby. 

L’album scivola via in maniera fresca e orecchiabile, ripeto niente di straordinario, ma è pur vero che la band riesce sapientemente ad alternare stili diversi tra funky, punk, rock e ballad dallo stile più intimista. Idles e Fontaines D,C, hanno riempito le copertine dei tabloid e delle riviste internazionali, ma sinceramente non capisco cosa abbia di meno questo album che sa, traccia dopo traccia, far ballare, commuovere, ragionare e gridare. Sicuramente un disco rock, questo il più grande pregio, L’equilibrio sancisce una liason spigolosa tra funk, pulsione grunge e rabbia di una voce duttile. Anche il trittico di canzoni in italiano ci restituiscono una capacità di scrittura che conferma quella ugualmente fluida toccata già nei pezzi in inglese. 

E’ vero che ogni tanto appare il fantasma di qualcosa già scritto e sentito come  nel ” il dono della vita”  dove pare di assaggiare i Soundgarden con un fare inestricabile, ma più viscerale. Un pezzo che cresce con il passare dei passaggi, forse un omaggio al grande Chris Cornell per l'assonanza con alcuni riff tipici di quella band. Attenzione però a non fare l’errore già commesso in passato con Coraline, dove alla fine per molti l’amara sorpresa è stata di non aver capito il vero senso della canzone, sottovalutando il messaggio più nascosto. 

Avverto un certo traffico tra cifre stilistiche diverse alternate con fin troppa leggerezza, si percepisce una certa voglia di strafare peccando forse in originalità. Ma non è forse questa energia che pervade tutti i pezzi e tutto il disco ad essere la novità rispetto a un grunge depressivo e un punk nichilista? Strepitose sono la libidine e il sudore che fuoriescono sia dall’estetica che dagli assoli di chitarra di Mammamia e Supermodel. Testi brutali con sound graffiante e versatile  Gasoline e Kool kids offrono come compendio  un carro armato della sessione  ritmica che cambia anche i riferimenti della voce di Damiano e mostrano  una fine capacità di affidarsi a videoclip curati per valorizzare la forza comunicativa del brano. Le ballad poi sono le grandi protagoniste, dove l’amore è sempre oscuro e nudo come il torso di Damiano e soci.

I brani in italiano sono solo tre a dimostrazione che la vocazione della band è sempre più internazionale. Anche qui non si perdono le radici riproponendo dei testi strozzati e crudi  con  un omaggio a John lennon in  Mark Chapman e il fantasma di Iggy Pop qua e là negli interstizi dei brani.

Alla fine questo lavoro probabilmente è destinato a crescere con il tempo perchè è un disco lungo e complesso e solo con molti passaggi se ne potranno capire fine in fondo tutte le potenzialità. Ricordatevi che in gioco non c’è la lotta tra musica commerciale e alternativa come negli anni ottanta o l’ambizione di portare la musica alternativa ad essere "commerciale"  come negli anni novanta, ma il destino del rock raccontato con gli strumenti del nuovo millennio a una generazione ormai caduta nella grande depressione o nella grande narcolessia.

 

Måneskin - Rush!

Måneskin

Rush!

Cd, 2023, Sony Music Epic
Genre: Rock

Tracks:

  • 1) Own My Mind
  • 2) Gossip - feat. Tom Morello
  • 3) Timezone
  • 4) Bla Bla Bla
  • 5) Baby Said
  • 6) Gasoline
  • 7) Feel
  • 8) Don't Wanna Sleep
  • 9) Kool Kids
  • 10) If Not for You
  • 11) Read Your Diary
  • 12) Mark Chapman
  • 13) La Fine
  • 14) Il Dono Della Vita
  • 15) Mammamia
  • 16) Supermodel
  • 17) The Loneliest

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