PERIPHERY IV: HAIL STAN

Pubblicato il 18/06/2019

Argomento: Musica

Dopo un’attesa di 3 anni da Periphery III: Select Difficulty inizio l’ascolto del nuovo LP Periphery IV: HAIL STAN, primo loro album sotto la propria etichetta 3DOT Recordings.

I miei sentimenti riguardo quest’album prima dell’ascolto erano misti: da una parte fremevo dal desiderio di potermelo letteralmente sbranare per una giornata intera, dall’altra avevo sicuramente dei timori dovuti alle precedenti produzioni di questo innovativo gruppo del Maryland.

Da una lato c’è Periphery: Juggernaut, un mastodontico concept album che ha segnato una vetta altissima nella loro discografia; dall’altra il successivo Periphery III, un album sicuramente più semplice del precedente ma grezzo, pesante, viscerale.

Saranno riusciti a sintetizzare i loro precedenti sforzi in quest’album? Lo vedremo a fine recensione, ora passiamo all’ascolto traccia per traccia:

 

  1. Reptile 16:43

Opening track dell’album che sfora il quarto d’ora, un lavoro veramente enorme e una grossa responsabilità nei confronti delle successive tracce. Non stanca, non annoia. Si apre con gli archi e continua con la pesantezza e sfacciataggine solita dei Periphery, verso il settimo minuto si prende una pausa, con una chitarra in clean e la voce di Mikee Goodman (SikTh) che ci porta con un melodico crescendo fino al minuto 9:50 dove si ritorna agli energici scream di Spencer Sotelo. La canzone si conclude con un outro elettronico per far da ponte alla prossima traccia.

  1. Blood Eagle 5:58

Sentendo i primi due secondi di feedback della chitarra sulle casse si sa già che sta arrivando una mazzata sui denti, inutile provare a prepararsi perché la canzone inizia subito martellandoti le orecchie con tutta l’aggressività, i riff dissonanti e i tempi fuori di testa di cui i Periphery son capaci. Indubbiamente una tra le canzoni più pesanti dell’album, gli attimi di “tranquillità” sono rari e brevi, una vera scarica di adrenalina. La canzone si conclude in fading.

  1. CHVRCH BVRNER 3:40

Pensavate di potervi rilassare eh? CHVRCH BVRNER non farà altro che rincarare la dose, con ancora più riff dissonanti alla MK Ultra (Juggernaut: Alpha). Ritornello semplice di voce accompagnato da suoni dissonanti che creano un contrasto perfettamente riuscito. La canzone si conclude con un riff della chitarra campionato e utilizzato per i 30 secondi finali di outro elettronica.

  1. Garden in the Bones 5:57

Secondo singolo dell’album insieme a Blood Eagle, canzone sicuramente più melodica e tranquilla rispetto alle precedenti ma molto piacevole. Dopo i 2 minuti c’è una pausa dove le chitarre vengono tagliate e vengono usate solo note campionate a far da sfondo a una parte strumentale di batteria dove Matt Halpern è protagonista. La canzone riprende dopo i 3:30 con un ritornello molto orecchiabile e che ti coinvolge totalmente. Brano decisamente riuscito.

  1. It’s Only Smiles 5:33

Traccia molto radiofonica, con venature pop nell’intreccio djent. Canzone priva di scream e aggressività. Da sottolineare lo stacco poco prima dei 4 minuti, i cori che accompagnano la voce di Sotelo creano un’atmosfera leggera, quasi paradisiaca. La canzone si conclude con le chitarre in fading lasciando l’ascoltatore totalmente rilassato, ma non per molto.

  1. Follow Your Ghost 5:24

Dopo due tracce tutto sommato tranquille si ritorna alla classica pesantezza del djent. Questa in particolare è una canzone che non mi ha convinto parecchio: raggiunge picchi veramente alti ma anche, secondo me, mediocri. Indubbiamente da 3:30 in poi inizia una parte della canzone che porta, in maniera crescente, a un brivido lungo la schiena, in cui si possono totalmente apprezzare le doti canore di Sotelo e che termina in maniera veloce, improvvisa e pesante. Il problema a mio avviso sono i 3 minuti e passa precedenti, poco ispirati e quasi noiosi.

  1. Crush 6:49

Brano veramente atipico, niente djent, niente chitarre distorte solo synth; molto pop ma con un accenno di oscurità. Ritornello semplice, orecchiabile, che rimane in testa. Gli archi creano un’atmosfera di epicità al tutto e gli scream di Spencer aggiungono aggressività che ben si sposa con l’accenno di oscurità citata sopra. La traccia si conclude con un’orchestra composta da archi e beat elettronici dal sapore vintage. Sicuramente una canzone inaspettata ma un esperimento che ha avuto successo.

  1. Sentient Glow 4:28

Brano dalle sonorità punk/hardcore da come si può intuire focalizzandosi su chitarra e batteria. Una canzone tranquilla ma molto piacevole in cui spicca la voce del cantante che, se nelle precedenti canzoni ha saputo dimostrarsi estremamente graffiante e aggressiva, qui diventa estremamente dolce e quasi sognante. La traccia si conclude con un outro di archi e chitarre che lascia l’ascoltatore in uno stato di rilassamento e benessere che avrà come culmine la prossima traccia.

  1. Satellites 9:25

Ed eccoci finalmente alla chiusura di quest’album. Non mentirò, Satellites mi piace da impazzire, la reputo la conclusione perfetta per questo album. Durante la riproduzione l’ascoltatore viene “tenuto buono” per i primi 3 minuti; dopo di che ci si ferma, si fanno dei bei respiri profondi accompagnati dalle 7 corde che sanno essere estremamente dolci e inizia il crescendo che dura fino a 4:30.

Proprio ora che ci siamo totalmente rilassati e che magari abbiamo alzato il volume in quanto non è stato un brano congestionato e ciò ci ha permesso di focalizzarci più sui singoli strumenti, finalmente arriva. La manata arriva ed è forte, chitarre distorte, batteria che non lascia fiato e scream. Si procede così con un pulito di voce che stempera l’aggressività fino a al minuto 8 e si crede che la canzone sia finita; e invece no! Si continua per un altro minuto e mezzo con un ritornello che ti coinvolge totalmente e segna il punto di fine di quest’album.

 

Rispondendo alla domanda posta a inizio recensione: sì, ci sono riusciti. Ci sono l’aggressività dell’album precedente, la ricerca del suono, la sperimentazione, i tempi folli e il forte contrasto che c’era in Juggernaut. Tutto ciò è stato reso ancora più godibile da una produzione più curata delle precedenti che permette nei pezzi più rilassati e meno congestionati di potersi godere le sfumature di ogni strumento, mentre negli attimi più aggressivi la batteria e le chitarre sono sparati in faccia come se fossero un muro sonoro.

I Periphery mantengono alta l’asticella con HAIL STAN; un album che ha bisogno di molti ascolti per coglierne tutte le sfumature e un solido step in avanti nella discografia della band.

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