Il 22 luglio 2025 al Parco della Musica di Segrate (Milano), è andato in scena quello che gli stessi autori hanno definito il tour d’addio della band.
Gli Who iniziano la loro avventura negli anni sessanta quando fare musica era tutt'altro che un semplice mestiere: era un modo di vivere, un’inclinazione, un modo di esprimersi e per di più in maniera ribelle (o meglio antagonista come diremmo oggi). Aggiungiamo che, come i più gettonati e famosi connazionali The Beatles, è sempre stato difficile dire chi fosse il più dotato e determinante dei quattro nell’imprinting della band dal momento che ognuno di loro fu maestro nel suo ruolo. Partendo con queste premesse e con questo pedigree è chiaro che porsi davanti a questi mostri sacri ( non credo di abusare di questa espressione) non è mai facile e ci vuole anche una certa dose di rispetto. Dispiace ricordare a tutti che sul palco ormai si possa godere solamente delle prestazioni di Roger Harry Daltrey (voce, chitarra ritmica, armonica a bocca) e Peter Dennis Blandford Townshend, detto Pete (noto principalmente per essere il leader, compositore e chitarrista del gruppo) attorniati da validissimi e più giovani turnisti che si sono alternati nel corso degli anni.
Tra i loro album più apprezzati ricordiamo "Who’s Next" del 1971, "Tommy" del 1969 e "Quadrophenia" del 1973. Queste due ultimi sono stati composti come opere rock e ne sono stati tratti due film usciti rispettivamente nel 1975 e nel 1979.
La complicità da un punto di vista tecnico e professionale oltre che umana tra i membri del gruppo raramente è stata così immersiva nella storia del rock, come dimostrarono nel passato i live del gruppo con tutta l’energia che scaturiva dalle le loro esibizioni. Una forza che sembrava a tratti rabbia fino a trasformarsi in violenza distruttiva e autodistruttiva di nome e di fatto (strumenti spaccati e demoliti sul palco durante i concerti, idem per le camere di hotel che li ospitavano) e una certa dose di sentimento autolesionista che portò alla morte prima di Keith Moon, il batterista più selvaggio e creativo della storia del rock e poi di John Entwistle bassista anch’egli talentuoso e polistrumentista che reinventò il rapporto tra chitarra e basso stesso.
Poco prima dell'inizio del concerto si è appresa la notizia della morte di Ozzy Osbourne che è stato prontamente omaggiato dal gruppo con una immagine più volte trasmessa negli schermi e con un saluto avvenuto prima di dare inizio alle danze.
Bene, senza continuare a guardarsi indietro dobbiamo subito affermare che la serata non è stata un festival della nostalgia intesa come goffa rappresentazione di un archetipo dei tempi che furono. Ovviamente al contrario del Dorian Gray di Oscar Wilde qui ad invecchiare sono stati effettivamente i corpi, ma non certo l’anima e il talento di questi due artisti.
Sin dalle prime note si è capito che avrebbero fatto sul serio. Le luci della ribalta si sono accese alle 22 in punto, senza band di supporto nell’attesa, senza corteggiamenti da parte del pubblico, ma con la consapevolezza di fare una tirata unica. Ventuno canzoni eseguite una dietro l’altra, portando lo show a concludersi direttamente alle 23:50 senza pause, senza orpelli, senza discorsi per ammaestrare il pubblico, senza bandiere e ovviamente senza bis. Niente male per due “vecchietti” con ottanta anni sulle spalle …
Quello che ci ha sorpreso sempre più durante tutto il corso del concerto è stata l’energia pura che usciva ancora dalle loro note e dalle loro voci. Certo un po’ frenata dalla questione anagrafica sicuramente determinante , ma sempre all’altezza del loro modo di essere. Non credo si possa immaginare cosa volesse dire assistere a un concerto degli esordi. Intendo dire quelli dove gli Who tutti e quattro erano giovani, intriganti, irrispettosi e ribelli come gli sguardi catturati iconicamente dalle foto dell’epoca. La band è stata sicuramente fenomeno di costume, di moda, idoli generazionali, ma soprattutto un esempio di libertà che trovava la sua sintesi nella giovinezza. Essere giovani vuol dire energia. ottimismo, ribellione, voler cambiare lo status quo e ancor più dare una speranza ai propri coetanei. Ecco questo ho colto nell'aria ieri sera: loro sono stati portabandiera di diverse sottoculture british in primis quella Mod, ma soprattutto di un sogno intergenerazionale che alimentava ieri come oggi sia i ragazzi del presente, sia i ragazzi che furono e che hanno vissuto ancora per un momento un ritorno a occhi aperti al periodo più bello della loro vita.
Inutile ripercorrere la sequenza di tutti i brani proposti e comunque elencati a fine articolo. Voce ancora potente e incisiva e nonostante l’estetica non fosse più ovviamente quella di un tempo, Roger si dilettava ancora a far roteare il microfono in maniera irriverente quasi a voler dire sono ancora quello per cui sarò ricordato. Pete da parte sua spesso brontolava con i roadies per una chitarra non accordata o un particolare del suono non eccellente, ma la chitarra ancora ricamava arpeggi e assoli di prim’ordine con immancabile doppia ruota del braccio prima che la mano andasse con le dita a pizzicare le corde, proprio a rimarcare ancora una volta gli atti simbolici della band. Jody Linscott anche se suona da poco con il gruppo ha risaltato la sezione ritmica di molti brani.
Personalmente sono rimasto affascinato ancora una volta dall’esecuzione di “Eminence front” brano del 1982 estratto dall'album “ It’s Hard” e dei classici “ Who are you” e “ Baba O’ Riley” o la mitica “ My generation” inno della gioventù inglese degli anni sessanta scalmanata e mod che guidava l’italiana lambretta o Vespa e vestiva capi eleganti della moda sempre italiana come gesto di ribellione estremo e codificato per non essere riconosciuti dagli adulti.
Cosa dire poi di "See me, feel me" l'iconico brano finale del film Tommy diretto da Ken Russel, nel quale assistiamo ad una ascesa fisica e spirituale.
La serata si chiudeva come si era aperta: in maniera elegante, mai retorica e soprattutto vera. Un ricostituente per sognatori, avventurieri o semplici individui in fuga dalla realtà di cui abusiamo e che spesso ci abusa nella frenesia di tutti i giorni.
L'acustica grazie ad un terreno perfettamente piano e a un buon impianto è stata assolutamente apprezzabile.
I prezzi dei biglietti erano di 103,50 per il posto unico e di 126,50 sia per la tribuna numerata (posti seduti ma più distanti) che per il gold circle (in piedi ma molto più vicini).
Per l'auto c'è un comodo e grande parcheggio disponibile per 10 euro.
Peccato per l'impossibilità di fare entrare la nostra macchina fotografica, bloccata all'ingresso e che abbiamo dovuto riportare in macchina: vi avremmo mostrato qualche immagine di migliore qualità rispetto a quelle scatatte con lo smartphone.
Una curiosità, quando eravamo in fila per recuperare i pass, abbiamo visto Eugenio Finardi, un grande protagonista del rock italiano anni '70 e di cui è uscito da poco un nuovo album, che non si è lasciato perdere questo evento.
La band che ha suonato in questo tour è formata dai due membri storici degli Who, Roger Daltrey alla voce, armonica a bocca e occasionalmente chitarra e Pete Townshend alla chitarra solista, tastiere, voce. A questi si aggiungono Loren Gold alle tastiere, Scott Devours alla batteria, Simon Townshend alla chitarra e cori, Jon Button al basso, John Hogg e Jody Linscott alle percussioni. Fino a qualche mese fa c'era stato Zak Starkey (il figlio di Ringo Starr ) come batterista.
Scaletta della serata:
- I cant'explain
- Substitute
- Who are you
- Love ain't for keeping
- Bargain
- The seeker
- Pinball wizard
- Behind blue eyes
- The real me
- 5:15
- I'm one
- I've had enough
- Love, reign o'er me
- Eminence front
- My generation
- Cry if you want
- See me, feel me
- You better you bet
- Baba O' Riley
- Won't get fooled again
- The song is over