Marilena Anzini: Intervista del 16/06/2025

Pubblicato il: 16/06/2025


Marilena Anzini: nella biologia sonora di "Bio-"

Un disco che somiglia più ad un mantra collettivo che ad una forma del pop. Un suono che richiama più momenti rituali che arrangiamenti di mestiere. "Bio-" è il nuovo disco di Marilena Anzini, artista che da sempre ha restituito alla composizione l’attenzione per le piccolissime cose, tornando all’anima, alla verità del sentire… alla voce. La voce è il centro di questo nuovo disco, voce che affida moltissimo alla coralità del suo ensemble titolato Ciwicè. E poi strumenti pochi, antichi a tratti come l’arpa celtica di Ludwig Conistabile o come un particolare scacciapensieri proveniente dalle steppe della Mongolia a firma di Giorgio Andreoli. Un vellutato lavoro di cesello dove l’uomo e la sua biologia tornano al centro. Non è un disco che contempla le macchine, in alcun modo.

Se ti dicessi “avanguardia” con le opportune virgolette… che cosa mi rispondi?

Ti direi che ho spesso la sensazione che tutto sia già stato scritto e suonato e che non ci sia più molto da inventare, ma che forse può essere una buona frontiera quella dell’incontro tra diversi ambiti musicali e sonori. Per quel che mi riguarda, mi pare che un orizzonte particolare nella mia musica sia l’incontro tra la forma canzone e il canto corale, con elementi ispirati al mondo musicale-vocale del grandissimo Bobby McFerrin, il cui lavoro pionieristico sul canto e sul circlesinging viene ancora oggi divulgato e sviluppato in tutto il mondo e anche in Italia, in particolare dal Collettivo Cantincerchio di cui faccio parte. Un’altra riflessione che mi ispira la parola “avanguardia” nel processo creativo è l’importanza della curiosità, del gioco, del divertimento, della libertà dalla paura dell’errore…l’importanza di tornare bambini, in poche parole. Credo sia una via maestra che ogni artista dovrebbe percorrere nella direzione della propria autenticità, nella relazione con sé stesso e con ciò che lo circonda. Ognuno di noi è unico e credo che in questa unicità risieda la sorgente creativa più all’avanguardia. Esprimere sinceramente e autenticamente se stessi: allora tutto diventa nuovo, anche senza inventare niente.

Quanta ricerca c’è per oltrepassare la consuetudine del pop di ogni giorno?

Credo sia importante che la ricerca artistica sia intrecciata il più profondamente possibile con la propria umanità, con il proprio mondo sia interiore che esteriore. È un lavoro quotidiano di autoformazione che dura per sempre e per il quale non basta una vita. Ha a che fare con l’autenticità di cui parlavo prima, e con una vita vissuta consapevolmente: cercare quotidianamente di vivere con attenzione e meraviglia, ascoltare e fare spazio al nuovo -anche all’impossibile-, scoprire un senso in tutto ciò che ci capita, trasformare creativamente quello che fa male e trarne insegnamenti, costruire dialoghi con ciò che ci sembra lontano -e più è diverso meglio è-, saper immaginare la luce anche nel buio più pesto, e seguirla con fiducia… credo che tutto ciò sia il migliore humus per una ricerca artistica, e allora questa ricerca si potrebbe semplicemente chiamare “vita”.

Esiste anche uno spazio per l’improvvisazione?

Il confine tra forma e improvvisazione mi affascina moltissimo. Ogni canzone nasce da una improvvisazione e, in fase compositiva, amo lasciare intatte certe parti vocali così come sono sgorgate; per questo ci sono molti momenti in cui con le Ciwicè (l’ensemble vocale femminile che mi accompagna in studio e dal vivo) cantiamo fonemi e linguaggi inventati: le parole non sono l’unico linguaggio possibile per comunicare. E quando poi la canzone giunge ad una forma definita, la fase creativa non è affatto terminata perché ogni volta che si esegue il brano è sempre diverso! La stessa aria non passa due volte dalle corde vocali e la voce e il modo di suonare sono sempre legati al momento, influenzati da quello che si sta vivendo fisicamente, emotivamente ed energeticamente: la musica è sempre nuova ad ogni esecuzione e in questo senso c’è un ritorno che dalla forma va verso l’improvvisazione. Questa relazione è una via a doppio senso, un dialogo che regala tante possibilità espressive. Alla fine dei concerti, per esempio, lasciamo spazio -quando possibile- ad una circlesong (un canto corale basato sull’improvvisazione e sulla ripetizione) con la quale coinvolgiamo anche il pubblico: in fondo il concerto è fatto da chi suona ma soprattutto da chi ascolta, e questo è un bellissimo rito che connette ancora di più tutti i presenti.

Questa copertina che rimanda molto alla fanciullezza?

È opera di un’artista svizzera, Estheranna Stäuble, una cara amica che è anche cantante e che segue questo progetto musicale con amore e interesse fin dall’inizio. Ha creato la copertina e tutti i disegni che compongono la grafica ispirandosi ad ogni brano dell’album e infatti, come le dico sempre, a me sembra proprio che i suoi disegni “cantino”! Sì, c’è un richiamo all’origine della vita, al germogliare, al rinnovamento: il suo tratto spontaneo e i colori brillanti portano allegria e…vita! I disegni possono avere una sembianza infantile, ma il segno di Estheranna -anche nella scrittura a mano, che spesso diventa parte integrante del disegno ed è anche utilizzata per tutti i testi del libretto- è allo stesso tempo vibrante ma con direzioni precise, l’accostamento dei colori è giocoso ma non casuale: c’è per così dire una “fanciullezza matura” o, per dirla in altro modo, una maturità che ha saputo salvaguardare tutto il buono della fanciullezza. Conoscendo Estheranna, credo che i suoi disegni siano lo specchio della sua bellissima esperienza umana: essenziale, integra ed autentica.

E questo disco in generale che rapporto ha con la fanciullezza?

L’album si intitola “Bio-“ [dal gr. βίος], il prefisso che significa “tutto ciò che vive”: è frutto di una riflessione sulla vita, con lo sguardo in bilico tra la gratitudine per la sua meraviglia e lo sgomento per tutto ciò che le si oppone. Scrivere canzoni, per quel che mi riguarda, è una grande gioia e una modalità espressiva che ha anche un retrogusto di auto-terapia: mi aiuta a riflettere, a comprendere meglio ciò che accade dentro di me e nel mondo. E direi anche che è un grande aiuto nel percorso di spoliazione di tutto ciò che è fintamente adulto, un po’ come dicevo prima a proposito dei disegni di Estheranna: è il viaggio affascinante di una persona che sta attraversando l’età adulta cercando di ritrovare una rinnovata e consapevole innocenza. È un ritorno a casa.

Marilena Anzini