Rudy Marra: Intervista del 12/05/2020

Pubblicato il: 12/05/2020


Rudy Marra: in apnea, tra Morfina e Ridi Rudy che se non ridi ti rodi

Rodolfo Giovanni Marra, noto come Rudy Marra, originario di galatina, è stato sin dai suoi esordi discografici nel lontano 1986 con “Telefonami/Prima o poi me la paghi”, un cantautore originale e fuori dagli schemi. In quasi trentacinque anni di attività artistica ha all’attivo cinque album, forse pochi, ma mai banali, in cui sicuramente non ha mai voluto rifare sé stesso e nel quale non mai avuto paura di dire la propria su tutto e tutti. Tra questi album poi, delle opere letterarie altrettanto interessanti. Proprio in questi giorni di forzata clausura mi è balzato poi all’occhio un suo post intitolato “Salvate il soldato musica!”. Da qui il desiderio di scambiare quattro chiacchiere con lui.

Direi di partire, come d’accordo, da questa situazione anomala, da questa infinita quarantena impostaci dalle istituzioni. Tra gli artisti c'è chi ha deciso di reagire con dirette Facebook, live virtuali, chi con aperitivi e cantate dai balconi e chi, invece, non ha più voluto cantare o, perché addolorato, o per protesta, ritenendosi dimenticato da questo stato. In mezzo ai due estremi una lunga serie di sfaccettature. Tu come ti poni, quale è stata la tua reazione?

Crocodile rock, sarebbe il pezzo giusto per questa situazione. Insopportabili i piagnistei degli artisti dimenticati dalle Istituzioni. Fino a ieri dove eravate? Qui mi riferisco soprattutto a quelli che contano, agli "Dei del microfono", insomma quelli che riempiono teatri, palasport, Stadi. La loro potenza mediatica e "contrattuale" li avrebbe dovuti portare già da tempo a fare brutto muso ai politicanti di turno per richiedere garanzie, assistenza, albo professionale, previdenza e quant'altro! E invece, il più delle volte, di riffa o di raffa, con i governanti e i loro derivati (gruppi economici, banche, giornali, tv, radio, multinazionali discografiche...) i suddetti Dei microfonati avevano di che spartire e quindi silenziosamente accondiscendenti. Gli altri, i canterini dei club, delle date sottocosto, dei ricattati da "quanta gente mi porti?" possono fare poco, anzi niente per essere onesti, se non far finta di avere uno spirito di corporazione mai esistito e così approfittare della situazione per avere il pretesto di mostrarsi e farsi sentire in qualche performance video musicale, nella maggior parte dei casi di scarsa qualità e gusto. Il silenzio è impossibile, è una finta presa di posizione alternativa, se tu non suoni ci sarà qualcun altro disposto a farlo, senza contare tutti i canali dove la musica non puoi fermarla. Per quel che riguarda i balconi è un discorso ancora più ampio, si toccano situazioni sociali e addirittura antropologiche, come il fare gruppo per paura di essere soli, associarsi per solo interesse davanti alla fiera malefica, alla bestia feroce... Va da sé che tutto ciò non ha nulla a che fare con la musica, una situazione spinta dai media e probabilmente da chi ha interesse a tenere compatta la popolazione in un momento di disgregazione, letale per chi gestisce il potere, facendo leva sui sentimenti e in particolare la paura! A me personalmente fanno cagare (se si può dire se no trova tu un sinonimo) tutti i "canti" di massa, che siano Volare, Bella ciao, Il cielo è sempre più blu oppure 'O sole mio... Io non mi sono neanche posto il problema di che fare in questa situazione, ho sempre fatto quello che mi andava di fare, se ho voglia di suonare e cantare lo faccio, se mi va di stare in silenzio metto in mute, senza dover dar conto a nessuno. Potrei chiudere la risposta col verso di una mia canzone mai uscita su un disco ufficiale che però è parte di un bootleg live registrazione di un tour veramente underground del 2011 in cui cantavo "Si fa presto, si fa presto a farsi fottere!".

Direi che la tua conclusione non fa una piega. Hai citato un bootleg di un tour underground del 2011. So che ti sei sempre mosso per sentieri alternativi, spesso impervi, ma credo anche ricchi di soddisfazioni. Gli anni trascorsi dal tuo ultimo disco ufficiale "Sono un genio ma non lo dimostro" sono ormai tanti. È una strada che non vuoi più percorrere o, invece, qualcosa bolle in pentola?

Dopo l'uscita di Sono un genio ma non lo dimostro (Alabianca/Warner 2007) e un paio di anni di live per promuoverlo, la mia strada musicale ha preso una direzione inaspettata anche per me e, se vogliamo, in un certo senso incredibile. Ad un certo punto mi sono accorto che non ne potevo più della musica che mi circondava, la mia e quella degli altri del panorama italiano e spesso anche internazionale, non solo da un punto di vista tecnico musicale, ma anche proprio concettualmente. Sinceramente non sopportavo neanche tutto il contorno della musica nostrana, radio, giornalisti, musicologi, festival e premi d'autore, tradizione cantautorale vecchia, finto rock travestito da alternativa e tutta una serie di cose per me insopportabili, come paragoni, riferimenti costanti al testo poetico e meno poetico, accuse di non avere come altri una linea musicale ben individuabile, come dire che non facevo sempre la stessa canzone rigirata a mo’ di frittata, insomma, per auto citarmi, non ero mai stato "né pop, né rock, né jazz...". Cancellare tutto a parole è facile, in pratica è cosa complicata. Così sono partito da quello che mi pareva più naturale facendo musica, cioè sentire suoni diversi, magari utilizzare strumenti non usuali, non convenzionali. Deciso che la cornamusa era troppo difficile da imparare in breve tempo e che di elettroniche sofisticate capisco zero, mi sembrò più che naturale rivolgermi agli strumenti a corda che da sempre suono. Una specie di tabula rasa della musica moderna mi ha portato a ricercare nel mondo primordiale, una indagine di suoni primitivi, in terre africane, in popolazioni non gravate da architetture armoniche e melodiche di cultura occidentale, ritmo e vibrazioni per stringere, suoni viscerali. Le corde di budello animale, le percussioni, il suono profondo di corni e di casse toraciche con emissioni basse baritonali, un mondo magico, psichedelico, rotolante "rock", l'origine di tutto alla fine, del blues e quindi di tutti i generi che poi si sono succeduti, tutto partiva da lì. Così smontai prima le due corde più sottili della mia chitarra, poi anche la terza corda (il sol) e cominciai a suonare come un misto di chitarra e basso.... Vado più in fretta che posso; cominciai a creare, grazie ad un amico liutaio, uno strumento elettrico a 3 corde che chiamai bassarra (ora sono arrivato ad un basso a due corde) con l'uso dello slide. Non solo il suono ora era diverso, ma cambiava proprio il concetto di fare musica, suonavo bi-corde, potevo accordare in maniera diversa per creare armonizzazioni e via dicendo. In questa maniera non aveva senso continuare a pensare alla canzone così come avevo fatto fino a quel momento, quando suoni ritmico, quasi percussivo, non puoi più permetterti di non esserlo anche con le parole, anzi con i suoni che emetti e non avere le corde sottili ti impedisce di fare melodia intesa come i soli, accenti vari e a tutto questo devi sopperire con la bocca e quindi anche con quello che dici. Lo so che forse non è di facile comprensione ai non addetti e forse è anche complicato da sentire la differenza, ma è un mondo totalmente diverso. Non me ne fregava più nulla delle parole, anzi le parole erano pesi superflui, ostacoli alla musica, questo non vuol dire che i concetti non erano forti come e più di prima, solo che cominciavo a superare il birignao retorico e stantio della canzone d'autore italiana. Da lì è stato tutto un crescendo fino a un episodio un po’ magico. Chiamai un amico e musicista che già aveva giocato con me, un trombonista, e gli spiegai che avevo voglia di mettere su una band con queste caratteristiche per fare un genere alternativo, con suoni ipnotici, cupi, ma ritmico, con vibrazioni ed energia, mi pareva che una chitarra a tre corde un trombone e una batteria fossero l'ideale. Da grande jazzista, ma anche da sperimentatore accettò volentieri e con un batterista cominciammo a provare e nacquero Rudy Marra & the M.o.b. (Member's of band) e fu lì che successe la magia. Un giorno Simone (Simone Pederzoli trombone ndr) durante alcune prove mi nominò una band che in qualche modo aveva un percorso simile a quello che stavamo facendo, si trattava dei Morphine, band cult americana degli anni '90, un alternative rock proprio da loro definito low rock. Io, sinceramente, non li conoscevo o forse avevo sentito qualcosa di passaggio, quindi andai a ricercare nella rete. Sconvolgimento totale, mi sembrava di vedere e sentire, in un certo senso, il mio sogno, i miei pensieri musicali, concretizzarsi, diventare reali, fattivi. Non conoscevo la storia del leader bassista (a due corde!) Mark Sandman e scoprire che era scomparso nel 1999 proprio in un tour in Italia mi prese ancora di più. In breve cercai il contatto dell'altro carismatico fondatore della band, il sax baritono Dana Colley e sarebbe troppo lungo raccontarlo ora, ma alla fine, nell'estate 2011, da Boston lui si unì a noi in Italia per una collaborazione musicale e direi spirituale che da quel momento mi ha preso totalmente. Lo so che è lunga la storia, ma non potevo spiegare altrimenti come poi, qualche anno dopo, siamo andati a finire in uno studio di registrazione di Roma, il Diapason, il cui sound engineer Simone Satta ha voluto diventare il produttore del progetto di Rudy Marra & the M.o.b. feat Dana Colley che dopo due anni e passa di registrazioni è pronto e caldo. Il problema è ora come, con chi, quando uscire, vista la situazione di decomposizione cadaverica della discografia italica. C'era una bozza di idea di uscita per il 1° maggio, ma come sai tutto è saltato per pandemia. Posso solo anticipare che si tratta di un concept album di 16 tracce dal titolo Morfina, un viaggio nel bisogno umano di trovare rimedi efficaci per i nostri dolori, fisici e dell’anima, senza correre il rischio di diventare dipendenti da qualcuno o qualcosa, insomma niente di stupefacente, pur essendo un disco assolutamente stupefacente! Musicalmente la vecchia strada musicale è per me superata, d'altronde se si vanno a sentire attentamente i miei dischi precedenti non era affatto una strada precisa, mi ha sempre annoiato rifare le stesse cose, con stessi schemi fissi, non amo neanche nella vita normale essere catalogato e schedato. Certo capisco, da tante dimostrazioni di affetto che ricevo, che quel mio passato è incancellabile, ed è giusto che sia così anche solo per i grandissimi musicisti che hanno lavorato e hanno collaborato con me nei miei lavori, per questo, oltre al nuovo disco, ho deciso di fare qualcosa per accontentare chi è ancorato al mio passato, però l'ho fatto scrivendo un recital dove ci saranno alcune di quelle vecchie canzoni, un attore sul palco e forse io farò da colonna sonora dal vivo. Anche in questo caso doveva concretizzarsi il tutto questa estate con qualche giro di prova, poi sappiamo il guaio successo... Aspettiamo fiduciosi... il titolo del recital? Ridi Rudy che se non ridi ti rodi che mi pare giusto per il momento.

Una storia fantastica direi, da farci un documentario, aspetterò fiducioso. Ma la tua attività letteraria, invece, rimarrà un episodio unico il tuo romanzo L'utente potrebbe avere il terminale spento? Perché credo che tu di cose da dire ne abbia parecchie, magari non gradite a tanti, ma sempre originali e contro mano, no?

Intanto ti/vi faccio sapere che i romanzi sono già 2, nel 2015 è uscito per Zona ed. "Le facce" un romanzo, meglio un racconto breve, che parla di incomunicabilità, con i suoi vari risvolti. In cassetto ho già pronto altro materiale letterario, ma, come per i dischi, anche nell'editoria finché non sei nel giro che conta è meglio aspettare il momento opportuno, per poterti almeno gestire da solo una promozione che sia un minimo degna, almeno farlo sapere ad una ristretta cerchia di amici, conoscenti, magari fare avere il libro brevi manu a quelli che vengono a sentirti suonare, insomma non è un caso che anche tu non sapessi della mia seconda pubblicazione (suppongo sia ancora in vendita in rete). Aggiungo solo che il disco praticamente ultimato di cui ti ho accennato prima, "Morfina", ha molto a che vedere con le pagine scritte, non a caso il titolo ha vari riferimenti, un po’ gioca con la partecipazione di Dana Colley dei Morphine, ovviamente il tema trattato, cioè, come ripeto, il tentativo vano di trovare rimedi istantanei al nostro mal di vivere, così come ci potrebbero illudere le droghe e, infine, anche, forse soprattutto, perché è un richiamo a Morfina, un racconto di Michail Bulgakov e, proprio come in quello, ogni canzone che compone l'album è presentata da un breve scritto, come fossero appunti giornalieri di un diario personale tenuto nell'arco di un anno intero, un anno in cui il protagonista lotta con il suo male, i suoi ricordi, la ricerca di una felicità risolutiva, un cadere e rialzarsi continuo, fino alla morte, al suo stesso funerale a cui partecipa serenamente come se tutto il percorso doloroso non fosse stato altro che paura di quell'evento finale, il paradosso base della nostra sofferenza umana, quello di nascere solo per morire. Però il diario racconta anche che la vita non è una linea retta, un punto A che arriva a un punto B finale, ma un cerchio che magicamente ricomincia, senza soluzione di continuità. Come vedi non so neanche io se ho fatto un disco di canzoni oppure un libro che suona.

Credo che non abbia alcuna importanza etichettare ciò che si produce, il voler poi incasellare un artista è, in fondo, il mal celato tentativo di toglierli libertà. In tutto questo lungo percorso che, proprio perché fuori da ogni logica di mercato e lontano anche dalla cosiddetta musica indipendente, sembrerebbe vederti isolato da tutto e da tutti, in realtà ci sono state collaborazioni musicali con altri artisti, penso a Tosca, a Cristiano De André, Giusy Ferreri, Paolo Belli. C'è qualcuno nel panorama italiano con cui vorresti, invece, collaborare all'interno di un tuo progetto discografico? Un po' come avvenuto con Dana Colley?

La risposta è semplicissima, Eugenio Finardi, il pezzo è già pronto, è il rifacimento, anzi uno stravolgimento di un suo classico, anche questo farebbe parte del nuovo progetto, il contatto c'è già positivamente stato, ma ovviamente finché non si concretizza discograficamente non posso coinvolgerlo più di tanto.

Mi piacerebbe concludere questa chiacchierata con uno sguardo al futuro, non tanto del mondo discografico che, forse è già morto e sepolto, però sentiti libero di dire la tua sul suo stato di salute, ma soprattutto su quello di Rudy Marra artista a tutto tondo. Mi sembra che di carne al fuoco ce ne sia parecchia, come vedi la tua fase 3?

Parto immediatamente dal fatto che ti ho fatto sapere di miei progetti discografici, letterari, teatrali quando ancora nulla è sicuro, magari nessuno sarà interessato a pubblicarli o a farli andare in scena, cosa che qualche anno fa non avrei mai fatto nemmeno sotto tortura, almeno fino a quando non fossi stato sicuro di date, uscite con tanto di firme e controfirme contrattuali, questo proprio perché è saltato tutto, ormai ci sono praticamente solo autoproduzioni svincolate da qualsiasi contatto con il mercato, perché il mercato non esiste più o, quanto meno, si è ridotto a gestione di "personaggi televisivi" che hanno scadenze annuali, quei pochi (o molti, a secondo dei punti di vista) che galleggiano nelle major, parlo dei partecipanti ai Talent, quelli che fanno Sanremo nell’anno in corso, vecchi leoni nelle riserve di programmi tv Rai e super big prima dell'ennesimo tour estivo nelle arene, Stadi etc. Poi c'è tutto un sottobosco di cosiddette etichette indipendenti che sfornano artisti a ripetizione, con lo stampino e con un nome strano, replica della replica della replica dei De Gregori, De Andrè, Rino Gaetano (ovviamente, per dati di fatto, replica del peggio), fino al fenomeno rap / trap con le sue varie accezioni, un elenco di nomi inutili che vanno ad ingrossare il panorama già troppo saturo. Nulla contro nessuno di questi generi, né contro alcuno di questi artisti, ricordo sempre che quelli della mia generazione di tendenza rock “schifavano” a prescindere la “musica da discoteca”, poi negli anni ci siamo accorti che dentro quella marmellata c’erano anche cose fortissime, The Chic, Earth Wind & Fire, Kool & the Gang… il problema sta nella testa di questo sistema marcio, di quelli che sono a capo, direttori artistici, manager, impresari che per incapacità o per esigenze di semplice fatturato imposto hanno stravolto il mondo musica portandola da dimensione prettamente artistica a dimensione “ufficio di collocamento per lavori alternativi” e accordi economici con gruppi editoriali extra-musicali. La mia fase 3, come per tutti, dipende purtroppo da questa situazione anomala: gli spazi nella discografia sono ristretti, anzi stitici, risicati i modi per promuovere un progetto, relegati per lo più alla rete e a circuiti digitali che hanno imbastardito l’educazione musicale, si tratta per lo più di vendere immagine, video da cliccare, insomma tutto è delegato alla capacità mediatica, a essere parte attiva dei mass-media, che poi vuol dire essere massa, ossia carne tritata, poltiglia da consumare. Resterebbe il circuito live, naturalmente club, associazioni culturali, qualche illuminato gestore di eventi e festival, ma, anche qui, ancora prima del Covid-19, la situazione era già disastrata, sempre più legata alle esigenze degli oberati conduttori, incassi, vendite delle bibite e dei panini e, quindi, spesso diretta e guidata dalla precedente esposizione mediatica, il cane che si morde la coda insomma. Bisogna essere chiari, il modo di fruire della musica, un po’ per tutto quello appena detto, ma anche per altro, è cambiato radicalmente: di questi artisti che hanno milioni di click in rete i loro fan conoscono a memoria la canzone, conoscono bene il look, gli argomenti che tratta, e basta. Chi ha suonato la chitarra nel suo disco? E la batteria? Ma c’è una batteria vera in quel disco? E la chitarra che sembra una chitarra è una chitarra davvero? Ma c’è qualcuno che suona ancora un qualsiasi strumento in questi dischi? Una volta non era così, la musica non era solo una canzone da sentire, era una storia da vivere, si viveva anche quello che accadeva dietro il proscenio, il sudore del batterista sui tamburi, le evoluzioni del chitarrista, bassista, pianista, chi era il produttore, la casa discografica etc. E si conoscevano le vite dietro quel prodotto, il sangue, compreso i vizi e le droghe usate. L’mp3 e la digitalizzazione hanno omologato la musica, tutto suona uguale, più o meno, questa compressione audio serve ai grandi gruppi (Apple, Windows…) a mettere infinite quantità di materiale nei loro dispositivi lanciati sul mercato (pc, smartphone, ipod…), quantità non qualità! Le radio devono suonare musica che abbia bit e bassi adatti agli impianti di ricezione. La musica si dice è diventata più democratica, tutti possono fare in casa un disco, un video clip e sbatterlo in rete e sperare nella buona stella, nel colpo di fortuna e lavorare per costruirselo. Si sa, il potere al popolo, la demo crazia, è sempre stato un inganno organizzato da pochi, dai tempi delle Polis ateniesi, basterebbe leggere La Repubblica di Platone e arrivare alla Fattoria degli animali di Orwell. Io non ho mai pensato di fare musica per lavoro, a dire il vero ho perso tante occasioni perché non mi è mai andato molto di essere costretto per forza ad andare in giro a cantare, ho sempre fatto dischi o libri e sono andato a promuoverli da solo quando avevo voglia di dire la mia, di dire ad altri come vedevo il mondo in quel preciso momento. Questo è quello che continuo a fare, se e quando usciranno per il pubblico i miei nuovi progetti sarà mia premura cercare di farlo sapere a più persone possibili, nonostante gli ostacoli mediatici suddetti e, come sempre, chi già mi segue mi ritroverà, qualcuno che non mi conosceva mi conoscerà e a chi non interesso continuerà a non sapere della mia esistenza, almeno per il momento, perché la musica, digitalizzazione o non digitalizzazione, incapacità dei discografici o meno, a volte è talmente magica che arriva da sola dove le pare. L’unica cosa che sinceramente mi auguro è la possibilità di tornare a suonare in giro insieme ad altri musicisti compagni d’avventura, perché col tempo mi è venuta voglia di salire sui palchi, grandi o piccoli che possano essere, davanti a tanta o poca gente non è un problema che mi assilla più di tanto. Come dal tema trattato nel mio ultimo lavoro ancora inedito, io non voglio dipendere e non m’interessa che altri dipendano da me.

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Libro "Le facce. Dal diario del Dottor Frank Saltarino Storie di ordinarie incomunicabilità" di Rudy Marra