Jam Republic: che sia questa la strada del nuovo jazz?
Elettronica, modi classici, variazioni sul tema che tanto devono ai grandi rivoluzionari del jazz. E poi la freschezza di forze giovani, di nuovi orizzonti… di cocktail che anche dalla loro, sono sempre quelli. Niente di nuovo ma forse tanto di personale dentro l’esordio dei Jam Republic ovvero Marco Marchini (sax tenore), Giosuè Orselli (tromba), Michele Folli (chitarra), Vito Bassi (basso), Mattia Zoli (batteria), Marco Pierfederici (pianoforte, tastiere) e Riccardo Tramontani ( sax contralto). Un disco come “Drink Me” uscito per Brutture Moderne e da oggi disponibile anche in CD fisico, è il mondo a luce colorate di un nuovo collettivo che indica quanta bellezza c’è dentro le nuove penne italiane. E non solo stereotipi commerciali dunque…
Dalla copertina sembra un disco “spaziale” denso di suoni che provengono dal futuro… che racconta questa immagine invece?
Il tema dello spazio è principalmente legato alla ricerca, all'esplorazione, alla scoperta di questi "pianeti alieni", che sarebbero i diversi generi, stili e le diverse direzioni prese all'interno dell'album. Volevamo che ogni pezzo fosse come un nuovo mondo da esplorare.
Che poi il vostro futuro è tornare al suono artigiano, suonato, collettivo e di contaminazione. Parlando del modo: il futuro è nel tornare assieme invece che vivere dentro società sempre più isolate e isolanti?
Certamente dopo il CoVid è stato complicato riprendere le nostre vite normali.
Per quanto riguarda la musica, è sempre più difficile suonare live nei locali, perché si è persa un po' la cultura della musica dal vivo prediligendo dj set o persino non chiamando nessun artista.
Noi personalmente crediamo che mantenere e riportare un po' questa idea del concerto dal vivo, e nonostante facciamo un genere che a volte risulta difficile all'ascolto, abbiamo sempre avuto enormi riscontri positivi da ogni tipo di ascoltatore, a significare che una differenza nel vivere il momento di un live ha una certa importanza.
Parlando del suono invece: il futuro per voi è del suono suonato? Come a dire: il futuro è dell’uomo in carne e non delle macchine?
Parlare di suono autentico è spesso un po' fuorviante e complicato, ci sono diversi modi di esprimersi attraverso la musica. Alla fine tutti gli strumenti musicali sono delle macchine, e questo contatto tra creatività artistica e appunto lo strumento inteso come "tool", come un mezzo per raggiungere una certa sonorità, è sempre presente.
Tuttavia l'impatto che si avverte suonando live è completamente diverso, e sebbene il nostro album non sia stato un album live, cerchiamo di portare questo ai nostri concerti, un interplay che è difficile da rendere in registrazioni multitraccia.
E il vostro “jazz” (uso le virgolette volutamente) in che modo sarebbe disposto a dialogare con il mondo digitale?
In parte già ci dialoga, attraverso synth, tastiere e la chitarra elettrica. Essendo il chitarrista posso rivelare che per la registrazione e i live ho usato, e uso, un setup completamente digitale, nonostante a qualcuno possa far storcere il naso. Inoltre per esempio in "Coffee Break" abbiamo aggiunto effetti digitali al sax tenore, anche se semplici, per ottenere quel suono particolare. Siamo tutti aperti a sperimentazioni sonore e alla fine gli strumenti digitali sono solo un colore in più da aggiungere alla nostra tavolozza.
I due estremi di questo disco per me sono “Tea Short” da una parte e “Negron Stomp” dall’altra. Sono le due facce opposte della stessa luna?
Probabilmente ogni persona vede due estremi differenti in questo album, infatti ogni pezzo lo consideriamo una sorta di estremo stilistico per conto suo, che va a toccare picchi di sonorità sempre differenti.
Per quanto riguarda “Negroni stomp”, è uno dei primi pezzi che abbiamo registrato (infatti mancano piano e sax contralto), mentre “Tea Short” è uno degli ultimi. Nonostante la maggior parte di “Negroni stomp” sia un mood diametralmente opposto, comunque si avvicina a Tea Short nella parte centrale o nella coda, con temi cantabili della tromba. Un po' tutto l'album è così, avventurandosi nelle varie sonorità, è sempre possibile creare ponti di collegamento per costruire quella che è un po' l'immagine completa del nostro progetto, come diversi specchi deformanti puntati sullo stesso soggetto.
E se vi chiedessi delle radici? Qualche disco topico per capire a pieno i Jam Republic?
È difficile parlare di dischi in particolare, perché il sound dei Jam Republic è plasmato dagli innumerevoli ascolti di ogni membro. Tuttavia possiamo citare gli Snarky Puppy, con “We like it here”, che ha ispirato molto questo progetto, e poi il periodo elettrico di Miles Davis con “Tutu” (la cui titletrack è nel nostro repertorio ai live). Altri artisti che ci hanno sicuramente ispirato sono i Weather Report, Chick Corea e Roy Hargrove.