E sono nuvole, e sono forme strane che fluttuano, sono intermittenze che sagomano il caso e le sue possibilità. Sono innumerevoli le chiavi di lettura che peschiamo dall’ascolto di questo EP di Patrizio Piastra dal titolo "Nuvole animali inesistenti" che in questi giorni si arricchisce anche di un bel video in rete per il singolo “Le intermittenze”, una clip dentro cui si mescolano arti di macchine intelligenti alla vita degli uomini. Siamo dentro quella scrittura che tanto deve a Niccolò Fabi (complice anche quel certo piglio vocale). E un poco in tutto il breve disco siamo portati a misurarci tra realtà e visioni fantastiche, tra concretezza e forme istintivi con cui stare al mondo. Una bella prova di leggerissima quiete…
Hai registrato in studio ma si avverte un respiro artigianale, quasi “di bosco”. È solo un fatto tecnico o una precisa volontà estetica e di scrittura proprio?
La volontà originaria era quello dell’approccio chitarra e voce, cosa che nella mia testa non doveva perdersi poi negli arrangiamenti finali. Credo che questa intenzione nel disco si sent; è un lavoro che ha un’anima acustica e artigianale come dici tu. Il fatto di aver lavorato nel Bosco Studio di Produzioni Dal Bosco di Massimo Giangrande e Andrea Biagioli, circondati dai boschi dell’appennino tosco-emiliano ha sicuramente contribuito a portare avanti un lavoro più concreto, suonato dall’inizio alla fine con strumenti veri.
Hai lavorato anche con Maurizio Loffredo, che ha curato il mix dell’ultimo album di Brunori Sas. Che cosa hai raccolto da una collaborazione che comunque ha un’ottica più main stream?
Maurizio, oltre a collaborare con situazioni più mainstream, ha anche una notevole esperienza in ambito più indipendente e ha già lavorato ai mix di altre produzioni di Produzioni Dal Bosco, collaborando con Massimo Giangrande e Andrea Biagioli, anime degli arrangiamenti di questo mio lavoro. Il loro apporto è stato fondamentale e quando lavori con professionisti di tale levatura, si impara sempre qualcosa che fino a quel momento non consideravi. In fase di mix, comunque, lavorare con Maurizio Loffredo mi ha aiutato a capire quanto sia essenziale il dettaglio invisibile: non quello che “si sente”, ma quello che fa funzionare tutto il resto.
Elettronico o la sintesi del cantautore? Chi sei per davvero?
Ti direi, una persona che nella musica trova una certa serenità. Non mi sono mai fatto domande sul genere musicale che più sento mio, anche perché per cimentarti con la propria musica è fondamentale avere una formazione, una conoscenza sempre attenta e ampia ai generi, agli stili, alle proposte. Da sempre ascolto cose completamente diverse tra loro, quindi credo che inevitabilmente la mia musica sia figlia di questi ascolti. Oltretutto, se ti dovessi dire, il mio approccio alla musica elettronica e quello a una proposta più “classica”, non sono così distanti per quello che mi riguarda. C’è un filo conduttore molto personale che non mi fa fare molte distinzioni.
Nel tuo EP si avverte una tensione tra l’interiorità e il mondo esterno. Secondo te oggi, in una società iperconnessa, c’è ancora spazio per l’ascolto profondo?
Credo che lo spazio per l’ascolto profondo esista ancora, ma vada difeso. Non è più un’abitudine collettiva, è una scelta individuale. In un tempo iperconnesso, tutto ti spinge a restare in superficie: per questo l’interiorità va coltivata come un atto di resistenza. Anche scrivere e registrare questo EP è stato un modo per reclamare lentezza, attenzione, silenzio.
E quindi il cantautore che ruolo torna ad avere o che ruolo perde in questo tempo?
Forse il cantautore oggi perde la centralità che ha avuto in tempi ormai lontani, ma può recuperare profondità. Magari non è più la voce di un’epoca, ma può essere una voce che scava in un mondo pieno di cose che ci sommergono e sommergono le riflessioni e le emozioni. In un tempo così rumoroso, chi scrive canzoni credo possa avere il compito o la possibilità di restituire senso. Non di certo per spiegare il mondo attuale che sembra aver perso un significato preciso, ma per cercare di renderlo un po’ più abitabile.